Venerdì scorso è incominciato il mass testing per il Covid-19 a Kawangware e Eastleigh, quartieri di Nairobi, e a Mvita, quartiere di Mombasa. Kawangware, che Wikipedia cautamente definisce «quartiere di Nairobi a basso reddito», è uno dei quartieri più difficili della città, una mescolanza di case in muratura anche a più piani, e di baracche, con forse 200.000 abitanti, e con un rapporto difficile sia con la polizia che con la giustizia. Molti dei ragazzi di Koinonia sono cresciuti a Kawangware, che è adiacente a Riruta, il quartiere di Kivuli e della nostra prima presenza da ormai quasi 30 anni, ed è coperto dalla nostra radio comunitaria, la Mtaani Radio.
La stampa non riporta molte notizie sui risultati di questo tentativo di test di massa perché le persone testate devono dare il proprio numero di telefono, al quale il risultato del tampone verrà inviato dopo, dicono, 24 ore. La gente teme che insieme al risultato arrivi anche la polizia per costringere alla quarantena. Così venerdì c’è stata molta resistenza, e da allora si sa poco circa i risultati. Si sente dire che ci siano stati 20 casi positivi. Mi hanno detto di persone che in questi giorni, finché il mass testing non si sposterà altrove, preferiscono stare in altre parti, in case di amici, pur di non correre il rischio di essere testati e di essere trovati positivi, che nel migliore dei casi vorrebbe dire due settimane di isolamento in una struttura gestita dal governo, e chi ha fatto questa esperienza non la raccomanda. Poi vorrebbe dire essere isolati dalla propria famiglia e comunità, senza poter avere contatti.
Intanto ufficialmente si registrano dal 13 marzo ad oggi 465 positivi, 24 morti e 167 guariti. Il balzo in avanti dei positivi (30) è ovviamente dovuto al maggior numero di tamponi effettuati (883). Un portavoce del ministero delle Sanità ieri ha osservato che troppa gente non segue le direttive governative ed ha anche minacciato azione legale contro gli imam che organizzano preghiere di notte, tenendo aperte le moschee quando dovrebbe esserci il coprifuoco. Purtroppo però poi succede che nella vita reale un ragazzo ventenne viene fermato dalla polizia perché gira in pubblico con la mascherina abbassata, viene portato alla stazione di polizia, e siccome non ha soldi chiamano la famiglia e lo rilasciano solo dopo che il papà, che guadagno 80 euro al mese, paga 20 euro di multa che vanno direttamente nella tasca del poliziotto.
Ieri ho passato la mattinata col gruppo di giovani adulti a Kerarapon, insieme a George Mugo che ha parlato di droghe leggere e pesanti, e dei loro effetti. È un bel gruppo che potrebbe essere uno straordinario caso di studio per un sociologo. Ventitré persone provenienti da tutto il Kenya, di diverse origini etniche. Erano insieme in strada da più di due anni. Si era formata una gerarchia interna, con il capo, l’assistente, i consiglieri e anche il pastore, perché, dicono, «lui conosce il Vangelo». Noi, come d’abitudine, li abbiamo coinvolti nella gestione della casa e insieme ai nostri educatori per tracciare una rotta per il prossimo futuro. Si vedono i primi risultati. Al termine dell’incontro un ragazzo mi ha detto di volermi parlare e appena ci siamo messi in disparte mi ha consegnato un pacchettino accuratamente avvolto in carta igienica dicendomi: «Ho capito che fa male. Buttala via tu, che non faccia male anche ad altri». Questa permanenza a Kerarapon non è solo un parcheggio in attesa che passi la pandemia, è un’occasione straordinaria per cambiare gli orizzonti di tutto la vita.
La frase del Vangelo di ieri, «io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza», è il senso che i ragazzi di Koinonia vogliono dare al loro camminare insieme a questo gruppo. Al centro della nostra testimonianza c’è il servizio, la cura per l’uomo.
Foto: un gruppo di ragazzini recuperato l’altro ieri in una strada del centro città
Padre Renato Kizito Sesana è un missionario che vive tra Nairobi (Kenya) e Lusaka (Zambia), città dove ha avviato case di accoglienza per bambini e bambine di strada (si chiamano Kivuli, Tone la Maji, Mthunzi…) e molte altre iniziative principalmente rivolte ai giovani, rendendoli protagonisti (come la comunità Koinonia). È cofondatore della onlus Amani, che dall’Italia sostiene la sua opera. Da giornalista, ha sempre avuto una viva attenzione alla comunicazione, dapprima come direttore di Nigrizia, quindi fondando a Nairobi la rivista New People e rendendosi presente sui mezzi di comunicazione keniani e internazionali.