Gli ebrei etiopi continuano a emigrare verso Israele. A fine febbraio ne sono arrivati 43, seguiti da altri 72 a marzo e 119 giovedì 21 maggio. Sono i primi tre gruppi a fare aliya. Altri ne seguiranno fino a raggiungere il numero complessivo di 398 etiopi autorizzato dal governo di Banjamin Netanyhau il 9 febbraio.
In realtà non si tratta di veri ebrei etiopi. La comunità originale dei Beta Israel (che i cristiani etiopi chiamavano in modo spregiativo falasha, in amarico «esiliato» o «straniero») è stata portata in Israele negli anni Ottanta con tre grandi ponti aerei organizzati dalle Operazioni Mosè, Salomone e Giosuè. Furono sottratti alle persecuzioni e alle privazioni alle quali erano stati condannati dal dittatore Menghistu Hailè Mariam. Allora 90mila ebrei etiopi, che la leggenda vuole fossero gli eredi degli ebrei nati dall’unione di Re Davide e la Regina di Saba, ma le cui origini sono incerte, furono trasportati nella Terra Promessa. Una volta giunti in Israele faticarono molto a integrarsi. Un po’ perché abituati a vivere in un ambiente premoderno e un po’ perché l’ebraismo tradizionale non li aveva mai veramente accettati come appartenenti all’ortodossia. Negli anni, però, lentamente hanno iniziato a far parte attiva della società israeliana. Molti ragazzi hanno fatto strada nelle forze armate. La comunità è riuscita a far eleggere propri deputati. Fino ai giorni scorsi, quando Pnina Tamano-Shata è stata nominata ministro dell’Immigrazione, prima donna di origine etiope (giunta in Medio Oriente nell’ambito dell’operazione Salomone) a ricoprire una carica all’interno di un governo israeliano.
Ma chi sono allora gli ebrei etiopi giunti in Israele in questi ultimi tre mesi? In realtà sono falasmura, cioè gli eredi di quegli ebrei etiopi che in passato furono costretti a convertirsi al cristianesimo. In Etiopia vivrebbero, in gran parte nei dintorni di Gondar (antica capitale imperiale) e di Addis Abeba, 8.200 ebrei convertiti al cristianesimo. Nel 2018, il governo israeliano ha autorizzato l’arrivo di un migliaio di immigrati di origine ebraica. Poi il dossier si è fermato ed è stato ripreso a febbraio quando è giunta l’autorizzazione all’arrivo di 398 falasmura.
Ed è stata proprio Pnina Tamano-Shata, insieme a Isaac Herzog, capo dell’Agenzia ebraica, ad accogliere il terzo gruppo di ebrei etiopi. «È un enorme privilegio dare il benvenuto a questi meravigliosi [immigranti] dall’Etiopia proprio poco dopo aver assunto la mia importante carica – ha detto nella cerimonia di accoglienza -. Avete aspettato molto tempo per realizzare il sogno dell’aliya. Ora siete tornati a casa e io, personalmente, sono estremamente commossa. In questa occasione voglio ricordare le centinaia di ebrei etiopi che hanno sognato Gerusalemme e sono morti lungo la strada per arrivarci».
Giovedì 21 ricorreva infatti la ricorrenza che ricorda gli ebrei etiopi morti durante il tentativo di giungere in Israele. Alla cerimonia sul Monte Herzl a Gerusalemme hanno partecipato, oltre ai membri delle famiglia che hanno perso i loro cari, anche il presidente Reuven Rivlin, il premier Benjamin Netanyahu, il presidente della Knesset Yariv Levin, il giudice della Corte suprema David Mintz e, appunto, Tamano-Shata.
«Non tutti sono tornati a casa, a Gerusalemme – ha detto Rivlin -. Padri e figli, sorelle e fratelli, nipoti e nonni non sono sopravvissuti al viaggio estenuante, ai predoni lungo la strada, alla fame, alle malattie, alle terribili condizioni nei campi di transito. Gerusalemme conserva per sempre il loro ricordo nel suo cuore».
(Tesfaie Gebremariam)