L’intervento russo in Siria ha riscritto la storia del Paese e resuscitato il regime di Bashar al-Assad. L’intervento turco in Libia sta facendo lo stesso con il governo di accordo nazionale di Fayez al-Serraj, che solo cinque mesi fa sembrava ormai condannato a soccombere sotto i colpi del maresciallo della Cirenaica, Khalifa Haftar, che sognava da anni di diventare il nuovo rais del Paese. Il modello siriano si ripete, con gli stessi attori e talvolta con gli stessi combattenti (reclutati da turchi e russi in Siria) anche in Libia.
Il nuovo capitolo della storia libica non si scrive però a Tripoli né a Bengasi. A decidere le sorti della nazione sono ancora una volta Ankara e Mosca, ognuno spinto dal proprio interesse di completare l’egemonia sul Mediterraneo e agguantarsi qualche fetta in più delle preziose risorse che offrono sia il deserto che il mare. I due comandanti in capo, il turco Recep Tayyip Erdogan, e il russo Vladimir Putin, non hanno timore di sporcarsi le mani. In Libia si scontrano, seppur non direttamente e mai ufficialmente, e a Mosca e Ankara (o Istanbul) si ricevono cordialmente per decidere la nuova via d’uscita, win-win per entrambi.
Mentre le forze armate di Tripoli prendevano il controllo della base aerea di Haftar ad al-Watiya, a 140 km a Sud-Ovest della capitale, infliggendo uno dei colpi più duri al generale e distruggendo l’antiaerea russa, grazie al decisivo sostegno dei mercenari e dei droni forniti dalla Turchia, il ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu, si intratteneva al telefono con il suo omologo russo, Sergei Lavrov. Ufficialmente per evidenziare «l’importanza di un immediato cessate il fuoco e della ripresa del processo politico sotto l’egida delle Nazioni Unite», secondo quanto già discusso a Berlino. Nei fatti, però, ore dopo si diffonde la notizia di un ingente rinforzo aereo russo che dalla base russa di Khmeimim della Siria si dirige verso la Libia per cercare di riequilibrare la battaglia.
«Haftar sta affrontando la sua peggiore crisi degli ultimi sei anni», spiega al Washington Post Anas el-Gomati, analista della Libia che dirige il Sadeq Institute, un think tank con sede a Tripoli. E la Russia, fedele sponsor, non ha alcuna intenzione di lasciarlo affondare. Il rischio non è solo di vedere svanire il sogno di conquistare Tripoli ma è di perdere anche Bengasi e lasciare l’intero Paese nelle mani dei turchi.
L’Onu, che ormai si limita al ruolo di spettatore insieme all’Ue, che ancora non riesce a far rispettare l’embargo sulle armi con la nuova missione Irini, mette nero su bianco che si rischia una nuova guerra per procura tra la Turchia e la Russia e di trasformare la Libia in un campo di battaglia simile alla Siria. L’inviata speciale della Nazioni Unite, Stephanie Williams, ha avvertito di un allarmante corsa agli armamenti.
Gli interessi in campo sono tanti così come gli attori. Nella prima fase dell’offensiva Haftar poteva fare pieno affidamento sugli alleati arabi: Emirati, Egitto, Arabia Saudita e Giordania, disposti a tutto pur di non cedere l’influenza dell’area al sultano turco e al suo alleato qatarino. Ma ora si è indebolito agli occhi di tanti. Gli europei restano divisi, nonostante i proclami di unità che si rinnovano a ogni conferenza o bilaterale. Francia e Grecia (molto preoccupata dalla Turchia per il controllo sul Mediterraneo) stanno con Haftar. L’Italia invece ha sempre considerato interlocutore Serraj in quanto riconosciuto dall’Onu, ma ha comunque tenuto aperta la porta al dialogo con l’uomo forte della Cirenaica. Gli Stati Uniti ufficialmente sostengono Tripoli ma hanno inviato segnali contrastanti mantenendo aperti i canali con Haftar, che per anni è stato preziosa risorsa della Cia contro Gheddafi.
Nessuno però è impegnato sul terreno come russi e turchi. E alla fine della battaglia saranno loro a sedersi al tavolo dei negoziati, ben saldi sulle macerie. Mosca, oltre agli equipaggiamenti, ha fornito anche l’expertise dei mercenari della Compagnia Wagner. A questi si sono aggiunti poi combattenti siriani che avevano già lottato al fianco dell’esercito di Assad. Ankara è invece intervenuta ufficialmente, con tanto di approvazione parlamentare, con i propri militari esperti per l’addestramento, con i contractor della compagnia Sadat e con diverse migliaia di jihadisti siriani che ad Aleppo e Homs combattevano contro Assad e contro i russi.
Conquistata al-Watiya, finora le milizie di Tripoli (e quindi la Turchia) stanno avendo la meglio su Haftar (e sulla Russia). La traiettoria della guerra dipenderà dalla risposta dei sostenitori stranieri di Haftar, in particolare Mosca e gli Emirati Arabi Uniti, e dai loro sforzi per «controllare l’ascesa turca», ha scritto Tarek Megerisi, analista esperto di Libia al Consiglio europeo per le relazioni estere. Stando agli annunci militari della Cirenaica, l’aviazione sta preparando «una campagna di raid senza precedenti che non risparmierà gli obiettivi turchi». Ma, come risulta anche dalle dichiarazioni del Comando africano degli Stati Uniti, se avverrà sarà per opera di piloti russi su aerei russi. E i turchi dovranno rispondere.
(Agi)