Più che una diga della rinascita rischia di diventare, non solo della discordia – quella è un dato di fatto – ma il detonatore di una crisi regionale dagli effetti imprevedibili.
Nemmeno i negoziati di settimana scorsa tra Etiopia, Egitto e Sudan, hanno sciolto i nodi. Tutte e tre i paesi rimangono sulle loro posizioni, senza che vi siano segnali, concreti, che si possa arrivare a un accordo in tempi brevi. Ma ciò che potrebbe aver messo una pietra tombale sulle negoziazioni trilaterali è la decisione di inviare la questione all’Onu. La mossa, annunciata dal ministero degli Esteri del Cairo, invita il Consiglio di sicurezza a intervenire “al fine di affermare l’importanza del proseguimento dei negoziati tra Egitto, Etiopia e Sudan, in attuazione degli obblighi previsti dalle norme di diritto internazionale, con l’obiettivo di raggiungere una risoluzione equa ed equilibrata della questione e di impedire l’adozione di misure unilaterali che potrebbero incidere sulle possibilità di raggiungere un accordo”. L’annuncio non è stato ancora commentato ufficialmente dal governo di Addis Abeba che in precedenza, per voce del ministro degli Esteri Gedu Andargachew, aveva dichiarato che l’Etiopia potrebbe abbandonare il tavolo dei negoziati in corso con Egitto e Sudan nel caso in cui le autorità de Il Cairo lo avessero a loro volta lasciato. Il ministro aveva anche accusato le autorità egiziane di aver cercato di ostacolare i colloqui rimettendo il contenzioso al giudizio del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. “Mentre li invitiamo a negoziare con mentalità aperta ed a discutere questioni basate su principi, gli egiziani stanno pensando in modo diverso e per interrompere la negoziazione”, aveva detto Andargachew. Il capo della diplomazia etiope è nuovamente intervenuto sulla vicenda domenica scorsa, ribadendo in un’intervista all’agenzia di stampa Ena che l’Etiopia non accetterà mai alcun accordo che limiti i suoi diritti idrici sul Nilo Azzurro. “L’Etiopia sta discutendo con i due paesi solo del processo di costruzione della diga e non di questioni relative ai suoi diritti di utilizzare il fiume”, ha osservato il ministro, tornando ad accusare l”Egitto di voler limitare i diritti idrici dell’Etiopia.
L’Onu, dal canto suo, ha invitato le parti a “lavorare insieme” per risolvere la questione. Il Consiglio di sicurezza ha tenuto, sul tema, solo una videoconferenza informale, rimandando, di fatto, la palla nel campo dei contendenti. Il portavoce dell’Onu, Stephane Dujarric, ha ribadito “l’importanza della Dichiarazione dei principi sulla diga del 2015” che “sottolinea la necessità di una cooperazione basata sulla buona fede, il diritto internazionale e il beneficio comune”. In una lettera inviata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il ministro degli Esteri etiope Gedu Andargachew ha ribadito l’intenzione di proseguire negoziati tripartiti sulla Grande diga della rinascita etiope (Gerd) e ha accusando l’Egitto di voler internazionalizzare i colloqui nonostante i progressi compiuti. Ma, su questa spinosa questione, sono intervenuti anche altri paesi. I governi di Gibuti, Somalia e Qatar, infatti, hanno respinto la risoluzione della Lega araba che sostiene l’Egitto nella disputa che riguarda il negoziato.
La partita è dunque delicatissima e sia l’Egitto sia l’Etiopia hanno tutti i motivi per difendere le loro posizioni. Dall’acqua del Nilo dipende tutto. Il Nilo è l’Egitto. Il paese delle piramidi potrebbe perdere fino a 300 milioni di dollari di elettricità e un miliardo e mezzo di dollari in agricoltura. Il Cairo, inoltre, dovrebbe aumentare le sue importazioni alimentari fino a poco meno di 600 milioni di dollari, con una perdita di circa un milione di posti di lavoro. L’Egitto consuma circa 80 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, di cui 50 provengono dal Nilo. L’Etiopia, invece, potrebbe perdere lo slancio economico che sta mettendo in campo il primo ministro Abyi Ahmed. Il balzo del Pil – attualmente la crescita sfiora le due cifre, ma occorre fare i conti con la pandemia di coronavirus – potrebbe rimane una chimera e deludere l’opinione pubblica interna, con conseguenze imprevedibili, vista l’attuale fragilità del tessuto sociale, spesso squassata da rivalità etniche e religiose. Un Pil , tuttavia, che non si riflette sull’economia reale, sul benessere della popolazione. Addis Abeba ha un gran bisogno di questa diga che, non a caso è stata definita “diga della rinascita etiope” e, come ha affermato di recente il premier etiope, la costruzione terminerà tra poche settimane. I lavori sono iniziati nel 2011 e affidati all’italiana Salini. L’invaso, inoltre, potrà immagazzinare fino a 74 miliardi di metri cubi di acqua e il riempimento dovrebbe cominciare, almeno secondo le intenzioni di Addis Abeba, a luglio. L’oggetto del contendere è, infatti, sul riempimento che l’Egitto vorrebbe avvenisse in cinque anni mentre l’Etiopia in tre.
Sulla vicenda, inoltre, ci sono contratti milionari. La Cina, infatti, ha annunciato una mega partecipazione proprio in questa infrastruttura. La compagnia Ethiopian Electric Power (Eep) ha firmato un contratto del valore di 40 milioni di dollari con la China Gezhouba Group per la gestione delle attività relative alla diga. Si spiega, dunque, l’asprezza del negoziato che, tutti si augurano, non sfoci nella Prima guerra dell’Acqua del terzo millennio.
(Angelo Ravasi)