Poche e difficili settimane separano ormai la Guinea dal controverso appuntamento con le elezioni presidenziali del 18 ottobre. Settimane da osservare con attenzione, settimane in cui il Paese rischia di vivere giorni di violenza, come già accaduto molte volte in passato in occasione di manifestazioni e di scadenze a carattere politico. Nella peggiore delle ipotesi, potrebbe innescarsi una crisi ben più profonda, ennesimo filo da torcere per la Comunità economica dell’Africa Occidentale (Cedeao/Ecowas).
L’ufficializzazione della candidatura del presidente uscente Alpha Condé a un terzo mandato consecutivo ha sciolto ogni dubbio, semmai ci fossero ancora stati, sull’intenzione del leader a restare al potere. Né l’età avanzata – Condé ha compiuto a marzo 82 anni – né la pressione della piattaforma civica attiva dal 2019 contro l’emendamento della Costituzione che ha reso possibile il potenziale terzo mandato, hanno intimorito il leader nella sua marcia verso la presidenza a vita. Nei mesi scorsi, si era costituito il fronte a sostegno della terza candidatura, battezzato “Coalizione democratica per il cambiamento nella continuità”. L’idea di designare un delfino, un successore all’interno del partito Raggruppamento del Popolo di Guinea – Arcobaleno, è stata effimera e presto archiviata.
Oltre la mera questione di legittimità delle manovre che hanno potuto, lo scorso 22 marzo, condurre al referendum costituzionale e al voto delle modifiche, la scelta di Condé delude profondamente chi si fidava dell’uomo, icona della lotta per la democrazia nella Guinea post-indipendenza. Prima di diventare nel 2010 il primo presidente dell’alternanza, dopo i regimi di Amhed Sekou Touré e di Lansana Conté, Condé si era forgiato la caratura di storico oppositore. La sua militanza fu pagata anche con la prigione, in cui trascorse 20 mesi dopo le elezioni del 1998 alle quali era stato candidato.
Alle tensioni di tipo politico-istituzionale si sono aggiunte, negli ultimi giorni, manifestazioni di protesta per questioni legate alla mancanza di servizi di base. Nell’Alta Guinea, bastione del presidente, dimostranti hanno chiesto a gran voce elettricità, ricordando le promesse di dighe idroelettriche iniziate ma mai terminate. Nel Sud del Paese, soltanto tre giorni fa, si è manifestato per chiedere strade e infrastrutture, parte delle 300 promesse di campagna per il secondo mandato di Condé. Denunce di violazioni dei diritti umani, repressione delle manifestazioni nella violenza, arresti arbitrari, tensioni intercomunitarie, giro di vite sulla libertà di stampa, sono altri temi che rendono rovente il clima pre-elettorale.
Nel contesto nazionale e regionale in cui si trova ora la Guinea, appaiono cruciali le decisioni dei leader politici dell’opposizione e quelle del Fronte nazionale per la difesa della democrazia (Fndc), la piattaforma di movimenti politici, della società civile e di cittadini che militano contro il disegno del presidente.
I rivali politici di Condé non hanno scelto un candidato unico. Cellou Dalein Diallo, principale sfidante di Condé nel 2010 e nel 2015, assente dal Parlamento per aver boicottato le ultime elezioni, ha annunciato solo ieri la decisione di candidarsi. Mamadou Sylla, capofila del primo partito di minoranza in Parlamento, l’Unione democratica di Guinea, il primo ad aver dichiarato di volersi candidare, non avrebbe ancora depositato il proprio fascicolo alla Corte Costituzionale. Siaka Barry, presidente del terzo partito all’Assemblea (il Movimento popolare democratico di Guinea) ha fatto sapere che non intende partecipare alla «farsa elettorale» in corso.
Nei ranghi dell’Fndc, si affina la strategia delle prossime settimane. «Oggi non è più in gioco solo l’elezione, è in gioco l’esistenza stessa della Repubblica, sono in gioco i valori morali», afferma ad Africa Rivista il responsabile della comunicazione del movimento, Abdoulaye Oumou Sow. «La notizia della candidatura del presidente Condé non è stata affatto una sorpresa. Da oltre un anno sensibilizziamo sulla questione e abbiamo capito che ogni stratagemma sarebbe stato utilizzato per arrivare al terzo mandato. Ma alla luce dell’instabilità e di violenze di matrice terroristica che circondano il nostro Paese e che si fanno sentire nella regione, è in corso una profonda riflessione in seno al movimento», spiega Sow. Raggiunto telefonicamente a Conakry, l’interlocutore conferma un’importante riunione del Fronte il 9 settembre e una grande manifestazione in arrivo.
Il golpe in Mali, apice di una protesta popolare di massa contro il presidente Ibrahim Boubacar Keita, è uno scenario possibile in Guinea? «In Mali, la popolazione si è alzata come un solo uomo e l’esercito è intervenuto. Non ci auguriamo che i militari intervengano in Guinea, ma alla luce degli sviluppi in atto, potrebbe essere un baluardo per la stabilità del Paese. Non lo auspichiamo, sarebbe una presa di potere illegittima e illegale, ma bisogna renderci conto che a un certo punto ognuno, persino le forze armate, dovrà assumere le proprie responsabilità». Dopo la morte del presidente Conté, a dicembre 2008 un golpe militare portò alla guida del Paese l’ufficiale Moussa Dadis Camara. L’obiettivo dichiarato dei golpisti era di preparare la Guinea a una vera transizione verso la democrazia, ma la feroce repressione di un raduno di manifestanti, il 28 settembre 2009, con almeno 150 morti, gettò un velo oscuro su questa parentesi della storia.
Ad oggi, tra chi milita per un cambiamento nella “condé-nuità” e chi vuole difendere un ideale di alternanza democratica, la lotta si gioca anche a suon di hashtag in lingua soso, la lingua più parlata a Conakry e lungo la costa atlantica: #alammané, è possibile, contro #amoulanfé, non passerà.
(Céline Camoin)