Padre Gigi Maccalli starebbe bene, sarebbe imprigionato nel Nord del Mali e sarebbe custodito da miliziani jihadisti. Il condizionale è d’obbligo quando si parla di un rapimento nella vastissima regione del Sahel. Voci si rincorrono ed è complicato selezionare quelle affidabili. Da fonti della Società delle missioni africane, la famiglia religiosa alla quale appartiene padre Gigi, trapela però un cauto (cautissimo) ottimismo. «L’unica immagine che abbiamo di lui – spiegano – è un frammento di video pubblicato dal quotidiano Avvenire in aprile. In quel video, appare provato e deperito, ma in salute. Questo ci dà fiducia perché, dopo la liberazione di Luca Tacchetto, il turista rilasciato in marzo insieme alla fidanzata, abbiamo la speranza che esista una trattativa, sebbene complessa, con i miliziani».
Padre Gigi Maccalli è stato prelevato dalla sua missione di Bomoanga il 17 settembre 2018. A rapirlo, probabilmente, non sono stati i jihadisti che lo custodiscono ora, ma membri delle bande che operano al confine tra Niger, Burkina Faso e Benin. «Qui – spiegano i missionari della Sma – c’è una vastissima area naturale. I controlli sono pochissimi e questi banditi praticano traffici di droga, armi e il bracconaggio. Secondo le prime ricostruzioni, è una di queste bande ad averlo rapito e ad averlo poi “venduto” ai jihadisti».
Adesso il missionario sarebbe custodito in un rifugio nel Nord del Mali. Una zona desertica e impervia, difficilmente controllabile sia dalle forze armate locali sia da quelle francesi. «Un colpo di mano militare per liberarlo – osservano i confratelli – è quasi impossibile. Troppo complessa l’orografia del territorio e troppo esperti i miliziani. Allora bisogna affidarsi alle trattative. Non è semplice, ma pensiamo si possa arrivare a un compromesso e alla liberazione. A noi non rimane che la speranza che presto padre Gigi possa tornare con noi».