Si allarga la frattura tra il governo federale etiope e il Tigray. Dopo le contestate elezioni che si sono tenute in settembre nella regione (vinte con ampio margine dal Fronte di liberazione popolare del Tigray, il partito di «raccolta» tigrino), il parlamento federale ha annunciato che le autorità di Addis Abeba non avranno più alcun rapporto con l’esecutivo del Tigray e i suoi vari organi. D’ora in avanti avrà a che fare solo con le strutture amministrative locali (Comuni, amministrazioni distrettuali, ecc.) per mantenere «i servizi di base» a favore della popolazione. I deputati della federazione hanno anche stabilito che i sussidi federali al Tigray verranno sospesi anche se non è stata annunciata alcuna misura di sicurezza.
Sul versante tigrino, i 38 deputati della Camera alta e gli otto deputati della Camera bassa sono stati richiamati a Macallè, capitale del Tigray. I leader locali hanno trascorso molto tempo in televisione spiegando la situazione ai tigrini. Secondo loro, lo Stato regionale è ancora soggetto alla legge federale, ma non saranno riconosciute le disposizioni adottate dopo il 5 ottobre, data di scadenza del mandato di Abiy Ahmed (le elezioni che si sarebbero dovute tenere ad agosto sono state rimandate a causa del Covid-19).
Sale quindi la tensione tra Addis Abeba e Macallè. La dirigenza tigrina, dopo aver guidato (con il pugno di ferro) l’Etiopia per più di un ventennio, con l’avvento del premier Abiy Ahmed si è vista prima emarginata e poi, gradualmente, estromessa dal potere. Da qui la prova di forza con l’organizzazione di elezioni regionali (non riconosciute da Addis Abeba) e con la nomina di un nuovo governo locale.
Come finirà il braccio di ferro? Difficile dirlo. Nel Parlamento federale, l’opposizione ha chiesto a gran voce la formazione di un governo tecnocratico di transizione, per far uscire la federazione dall’impasse.
(Enrico Casale)