Non è stata in grado di adempiere all’incarico? Oppure è diventata subito scomoda per il potere? La notizia dell’esonero della ministra angolana dell’Ambiente, del Turismo e della Cultura Adjany da Silva Freitas Costa sta creando malumori e facendo emergere molte domande. La decisione è stata presa direttamente dal presidente dell’Angola João Lourenço e annunciata con un comunicato – datato lunedì 26 ottobre – molto scarno, poche righe nel quale si dice che la ministra è stata esautorata e che al suo posto è stato nominato Jomo Francisco Isabel de Carvalho. Infine, si legge, l’ex ministra è stata nominata consulente del presidente della Repubblica. Nulla di più. Nessuna spiegazione.
La persona giusta. O forse no
Adjany da Silva Freitas Costa, biologa, 29 anni, è stata nominata ministro il 6 aprile e in questa decisione, in molti, hanno visto un segnale di cambiamento voluto dal presidente Lourenço, riuscito nell’intento di ridurre i ministeri – da 28 a 21 – in un Paese dove le rendite di potere superano, spesso, la buona gestione della cosa pubblica. L’azzardo, poi, era di affidare a una giovane donna tre dicasteri – prima erano separati – in una società che ha forti tratti e caratteristiche della tradizione matriarcale, ma dove gli uomini la fanno ancora da padroni. Non è un caso che la neo ministra abbia dovuto affrontare resistenze, reticenze, proprio perché donna e giovane. Il curriculum di Adjany Costa avrebbe potuto mettere a tacere ogni tipo di perplessità. Biologa e ricercatrice, dottoranda a Oxford, impegnata per l’ambiente, sembrava la persona giusta per affrontare una sfida importante e determinante per l’Angola. Evidentemente è stato un azzardo – nel senso di uno sbaglio – e non è servito nemmeno il suo curriculum e il suo impegno per l’ambiente. E il nuovo ministro è un uomo, guarda caso, molto legato al partito al potere da sempre in Angola, l’Mpla, tanto che in molti cominciano a definirlo un superministro, ciò che non si diceva, guarda caso, della giovane Adjany Costa.
La favola è finita
Ma cosa è successo? Leggendo il comunicato si può pensare che sia una promozione, visto che è stata nominata consulente del presidente, ma è anche vero che una promozione può avere, e in questo caso lo ha, il sapore della rimozione. Un’operazione di facciata. Insomma una decisione politica. Un ministro ha molta più possibilità di incidere sulla politica del governo del Paese. L’incarico di consulente è senz’altro prestigioso, ma con molto meno potere di incidere sulla politica generale, anche perché il “consigliato”, in questo caso il presidente, può anche non ascoltare. Opinione diffusa, tuttavia, è che la giovane ministra fosse un po’ «fuori dagli schemi e poco controllabile». Il neoministro, de Carvalho, certamente è molto più controllabile anche perché organico all’Mpla. Poteva essere una rivoluzione e non lo è stata. Poteva essere il segno che il Paese stesse cambiando davvero, dando più speranza ai giovani angolani. Ma così non è stato. La rimozione di Adjany Costa è arrivata, poi, a solo due giorni da una manifestazione organizzata da movimenti giovanili, spontanea e, nell’intento degli organizzatori, pacifica.
Una società civile insofferente
Movimenti che non sono legati a nessun partito, attivisti non riconducibili a nessuna formazione politica. Giovani che da tempo reclamano, semplicemente, più trasparenza nell’organizzazione dello Stato, più democrazia e si battono contro la corruzione dilagante, diventata strutturale in Angola. Manifestazione che, come al solito, è stata repressa nel sangue. La repressione è stata durissima. La Polizia Nazionale ha, ancora una volta, dato prova della sua spietatezza. Il bilancio è pesante: decine di arresti e due morti. Troppo per chi reclama democrazia. Attraverso il suo sito Maka Angola, il giornalista e attivista angolano Rafael Marques – più volte arrestato – racconta di quel giorno così: «Gli attacchi effettuati dalla Polizia Nazionale, nonché l’arresto di decine di civili e giornalisti che hanno seguito l’evento, hanno generato una forte reazione nazionale e internazionale». Marques non si perde d’animo e si rivolge direttamente al presidente: «Le aspettative di democratizzazione che la popolazione angolana e la comunità internazionale ripongono in João Lourenço hanno subito una grave battuta d’arresto. Ora tocca al presidente chiarire in quale direzione vuole davvero andare. Se, come speriamo, vuole continuare sulla strada dell’apertura, della vera democratizzazione e del progresso, allora deve farlo capire agli elettori e alle istituzioni. In particolare, il suo messaggio deve essere decisamente chiaro verso le istituzioni deputate alla sicurezza, che non possono continuare ad applicare e perpetuare la cultura della violenza, dell’arbitrio e dell’abuso di potere».
Una democrazia di facciata
La manifestazione aveva solo lo scopo di chiedere più trasparenza e azioni concrete e strutturali contro la corruzione. E poi l’applicazione di una legge – una novità per l’Angola – che ha istituito le elezioni amministrative. Nel Paese infatti si tengono solo elezioni per eleggere il presidente e i membri dell’Assemblea Nazionale. La legge potrebbe rappresentare una svolta storica nel Paese. Una legge che consente ai cittadini di scegliere direttamente gli amministratori locali e regionali. Elezioni che si sarebbero dovute tenere proprio quest’anno, ma che non sono state indette, senza alcuna giustificazione, nemmeno quella forse più ovvia e che molti presidenti africani hanno adottato: la pandemia da coronavirus. I giovani in piazza ne hanno chiesto ragione. Perché non si sono tenute le elezioni? João Lourenço, con la spudoratezza del dittatore più navigato, ha risposto: «Non le abbiamo fatte perché non erano previste». Elezioni fantasma. La legge non conta, o meglio conta quando è a vantaggio del potere. Le elezioni non rappresentano un vantaggio per il potere. I governatori regionali, i dirigenti provinciali e gli amministratori locali sono tutti nominati. E da chi? Dal presidente, è lui che decide. Un modo per controllare il Paese. I cittadini continuano a non contare nulla e se alzano la voce arriva la Polizia Nazionale per strozzare ogni legittimo anelito democratico, persino quello di esprimere il proprio pensiero liberamente. Il mandato del presidente João Lourenço è nato all’insegna del cambiamento, di una rigorosa lotta alla corruzione, alla rimozione dei privilegi di potere, colpendo perfino i figli dell’ex presidente Eduardo dos Santos, ma oggi si sta trasformando in una semi-dittatura. A una vecchia oligarchia – quella dei dos Santos – semplicemente ne è subentrata una nuova. Ma pur sempre di un’oligarchia si tratta.
(Angelo Ravasi)