È anche guerra di propaganda tra il governo federale dell’Etiopia e i ribelli del Tplf (Fronte Popolare di Liberazione del Tigray). Addis Abeba ha dichiarato di aver catturato o ucciso la maggior parte dei comandanti tigrini. Debretsion Gebremichael, il leader del Tplf fuggito nei giorni scorsi da Macallè, ha replicato che i combattimenti stanno proseguendo e che i civili stanno subendo saccheggi da parte dei soldati delle forze armate etiopi.
Nessuna delle due parti ha però fornito prove delle proprie affermazioni e per gli osservatori internazionali e i giornalisti è difficile accertare quale sia la verità dato che sono ancora interrotte le comunicazioni e l’accesso alla regione è limitato.
Negli scontri scoppiati il 4 novembre, si ritiene siano morte migliaia di persone e più di 45.000 sono i rifugiati hanno hanno cercato protezione nel vicino Sudan.
La Bbc è riuscita a parlare giovedì a persone a Mekelle che hanno detto che «i combattimenti sono ancora in corso nei luoghi vicino alla città». Le truppe del Tplf si erano ritirate da Mekelle per risparmiare alla città un massiccio bombardamento da parte delle forze d’attacco, ha detto, ma non si sono arrese.
I leader del Tplf, che godono di un forte sostegno popolare nel Tigray, sono fuggiti sulle aspre montagne, dove hanno riattivato i rifugi utilizzati un tempo nella guerra civile contro il dittatore Menghistu Hailè Mariam che utilizzeranno come basi per una resistenza in stile guerrigliero.
Debretsion Gebremichael, in un messaggio scritto rilanciato dall’agenzia stampa Reuters, ha dichiarato, senza portarne le prove, che si sono registrati continui saccheggi da parte dei soldati eritrei (che sarebbero penetrati in Tigray per dar sostegno alle truppe federali di Addis Abeba). «I soldati eritrei sono ovunque», ha detto accusando il presidente eritreo Isaias Afwerki di aver inviato diversi battaglioni. Ma sia l’Etiopia sia l’Eritrea hanno negato un’alleanza sul campo.
L’Etiopia afferma che il Tplf vuole internazionalizzare il conflitto per costringere il governo, le cui truppe sembrano ormai tenere le principali cittadine tigrine, a mediazione internazionale. Mercoledì, la Tv di Stato etiope ha mostrato immagini di persone che fanno acquisti e sedute sugli sgabelli nella città di Macallè. Ma non ci sono state immagini di forze di sicurezza che interagiscono con i residenti.
Il generale Tesfaye Ayalew, ha detto che «quasi tutti i nemici», inclusi ex colonnelli e generali che hanno combattuto dalla parte dei tigrini, sono stati fatti prigionieri o sono morti.
Le organizzazioni internazionali sono estremamente preoccupate per la mancanza di cibo, carburante, medicinali e persino sacchi per cadaveri nel Tigray. In Sudan, intanto, i rifugiati hanno raccontato storie orribili di fuga lungo strade disseminate di corpi e hanno parlato anche del coinvolgimento dell’Eritrea. Tewodros Tesera, un chirurgo della città di confine di Humera, ha detto che granate sono arrivate dal lato eritreo sul fiume Tekeze nei primi giorni delle battaglie.
Mercoledì, l’Onu aveva annunciato di aver raggiunto un accordo per fornire aiuti nelle aree del Tigray che erano controllate dal governo. Ma a partire da venerdì, le valutazioni sulla sicurezza erano ancora in corso e tre funzionari delle Nazioni Unite hanno detto all’Afp che gli aiuti non sarebbero arrivati prima della prossima settimana.
«Ci è stato concesso questo accesso – spiegano i funzionari dell’Onu -, questo accordo con il governo federale. Ma dobbiamo anche avere lo stesso tipo di accordo con tutte le parti in conflitto per assicurarci di avere effettivamente libero accesso incondizionato al Tigray».