L’editoriale del nuovo numero di Africa
Joe Biden giurerà il 20 gennaio come presidente degli Stati Uniti insieme alla vicepresidente eletta Kamala Harris, prima donna (afro-indo-americana) a ricoprire la carica. Si chiuderà ufficialmente – si spera per sempre – l’era di Trump, che fino all’ultimo ha fatto carte false per restare alla Casa Bianca. Qualche politologo e cronista commentando il comportamento di “The Donald” ha parlato di «squallide scene degne di una dittatura africana». E dall’Africa si sono levate – specie sui social network – voci indignate e irritate: «Non accettiamo lezioni di democrazia e di morale».
Quando nel 2008 fu eletto Barack Obama, lo scrittore mozambicano Mia Couto ribatté ai capi di stato del continente che acclamavano il primo presidente di origini africane a capo della prima potenza economico-politico-militare mondiale che, «se Obama fosse stato in Africa, non sarebbe arrivato nemmeno alle primarie». Il tema della democrazia (sistema non perfetto, ma finora il migliore tra quelli sperimentati dall’uomo) è ancora un nervo scoperto nel continente. In mezzo secolo (l’età media degli stati indipendenti), molti progressi sono stati compiuti: negli anni Settanta erano solo tre i presidenti africani scelti con elezioni libere e trasparenti riconosciute tali dalla comunità internazionale. Oggi sono una quarantina (su 54 nazioni). Ma molti di loro sono inamovibili: pur di restare al potere, infrangono le regole democratiche, modificano la Costituzione, soffocano il dissenso. Gli esempi si sprecano.
Per stare all’attualità: elezioni presidenziali sono in programma per il 14 gennaio in Uganda, dove il capo dello stato uscente, Yoweri Museveni, 76 anni, si candida per il sesto mandato. Un dinosauro della politica, se pensiamo che governa dal 1986 – fanno 34 anni –, quando il presidente degli Stati Uniti si chiamava Reagan e Gorbaciov era ai primi passi con la perestrojka in Unione Sovietica. Il continente africano – con la popolazione più giovane del pianeta – vanta il primato della classe politica più longeva (gli analisti parlano di «gerontocrazia africana»). Si può controbattere che Joe Biden, il più anziano presidente Usa della storia, ha 78 anni. E, a proposito di alternanza, si potrebbe far notare che in Germania – faro democratico dell’Unione Europea – si parla di possibile candidatura a un quinto mandato per Angela Merkel alle elezioni di settembre (nonostante la Cancelliera abbia più volte ribadito che, dopo 16 anni di governo, si ritirerà a vita privata). Infine, chi critica il nepotismo africano potrebbe citare le saghe dei Kennedy, dei Bush, dei Clinton…
Ma le differenze tra democrazie e regimi illiberali – africani e non – sono evidenti. Nelle prime, non si manda l’esercito in piazza a soffocare il dissenso, il potere giudiziario è indipendente, i parlamenti non sono agli ordini del rispettivo lider maximo, la stampa è libera di criticare e l’opposizione di attaccare il potere. Le vere democrazie hanno gli anticorpi per resistere ai deliri di onnipotenza dei loro leader (che, dimostra la storia, possono essere corrotti e pericolosi a ogni latitudine). In Africa, le difese insite nelle istituzioni devono ancora crescere e rafforzarsi. È una questione di tempo, crediamo. Milioni di giovani nel continente premono sui palazzi del potere. La democrazia non si impone, né si esporta o si insegna: si conquista. Per poi costruirla.
Marco Trovato, direttore editoriale Rivista Africa