Il calcio è tra gli sport più amati anche in Africa. Appassiona migliaia di giovani che sognano di approdare in Europa e giocare in qualche club prestigioso. L’emigrazione dei calciatori africani tuttavia cela un business oscuro gestito da trafficanti senza scrupoli, contraddistinto da corruzione e sfruttamento. Accanto a poche storie di successo ci sono miriadi di casi che non fanno notizia e che mostrano come ancora oggi il continente africano sia visto come un continente da depredare.
di Irene Aprile
Il calcio, lo sport più bello del mondo, anche in Africa. Esportato insieme al colonialismo, oggi il calcio appassiona tanti giovani aspiranti professionisti che sognano di giocare fuori dal continente. Sì, perché la fama di cui gode questo sport in Africa è associata alle opportunità di successo e arricchimento offerte dalle principali squadre europee, del Golfo persico o del Sud Est asiatico, dove i campi di calcio sono “più verdi” di quelli africani.
L’emigrazione dei calciatori africani è un fenomeno noto e consolidato che trova le sue principali cause in quel mercato globalizzato che, beneficiando di ineguaglianze economiche e sociali, gonfia le tasche di pochi già ricchi, trasformando tutto in merce di scambio, calciatori compresi.
I media africani condividono la responsabilità con i media internazionali di raccontare soltanto il calcio di una parte di mondo, rendendo noti in copertina i volti di calciatori stranieri e lasciando nell’oblio i campioni delle squadre locali. In realtà, alla fama di questo sport e la passione e l’entusiasmo che genera, non corrisponde un altrettanto rilevante sviluppo del calcio nel continente africano: i giocatori più promettenti e talentuosi non sfuggono alle principali leghe calcistiche, che fanno loro promesse di guadagno e successo facile, considerando che l’alternativa in patria sembra la convivenza con un sistema calcistico inadeguato per infrastrutture e governato da regole poco trasparenti in cui corruzione e nepotismo non fanno più notizia.
Il calcio in Africa
Giunto in Africa insieme alla cultura e ai sistemi coloniali europei, il calcio divenne presto uno sport molto popolare e così apprezzato che, anche dopo l’indipendenza, alcune nazionali africane entrarono presso nella FIFA Federazione Internazionale delle associazioni (ad esempio la Nigeria nel 1960 e l’Algeria nel 1964). Nel 1957, in un generale clima di decolonizzazione, nacque anche la prima organizzazione ombrello africana, che al pari della UEFA in Europa, univa le associazioni calcistiche africane nella Confederation of Africa Football (CAF).
L’ingresso nella FIFA di club africani contribuì senz’altro alla democratizzazione dello sport, prima esclusivamente “nei piedi” di europei e sudamericani, trasformandolo in uno strumento in grado di dare voce e visibilità a livello internazionale a istanze africane. Caso emblematico fu il contributo del CAF al boicottaggio sportivo del Sud Africa dell’apartheid, che nel 1963 fu sospeso dalla FIFA e restò fuori dalle competizioni per 30 anni.
L’emigrazione dei calciatori africani, iniziata quindi già in epoca coloniale e ridottasi con la nascita delle nazionali africani, riprese negli anni ‘80 alla luce di regolamentazioni della FIFA che agevolavano i trasferimenti e della convenienza percepita dalle associazioni sportive africane di “vendere” i loro calciatori migliori.
Secondo l’Osservatorio del CIES (International Centre for Sports Studies) nel 2008 oltre il 30% dei calciatori non-europei impiegati nelle principali leghe erano africani. Le indagini del 2020 su questi campionati che prendono in considerazione i calciatori che giocano al di fuori del proprio paese, vedono 4 nazioni africane tra i primi venti posti per paese di provenienza: la Nigeria, il Ghana, il Senegal e la Costa d’Avorio riempiono le file delle squadre con circa 1.000 giocatori.
In testa il Brasile che da solo contribuisce con oltre 1.500 calciatori; ma mentre mantiene il primato emergendo anche nella qualità delle performances di gioco, i Paesi africani escono dalla top 20, in parte per demerito, in parte a causa delle difficoltà dell’Osservatorio di reperire dati e informazioni a livello locale.
Le cause dell’emigrazione
I numeri del calcio in Europa sono dei giustificati attrattori per quei giovani africani, affamati di successo e talentuosi, che sognano di poter vivere della loro passione. I club africani faticano a trattenere gli aspiranti professionisti del calcio, per i quali l’Europa è una meta ambita anche per le opportunità calcistiche. Basti considerare che il più elevato stipendio settimanale a cui aspirare in una squadra africana è appena il 5% del più basso stipendio contrattualizzato in Europa.
A questa disparità economica tra il mercato africano e quello europeo, che funge da pull factor di migrazione, si affianca anche un gap infrastrutturale: mancano campi, reti, palloni, divise ed altri elementi essenziali indicativi di una scarsa capacità dei club di attirare finanziamenti, ma anche dei sintomi di una diffusa corruzione. Noto il caso di Admos Adamus, capo dell’associazione calcistica nigeriana che nel 2008 si appropriò di 800.000 dollari della FIFA destinati a programmi infrastrutturali. In Camerun avvenne qualcosa di simile quando la compagnia di Telecomunicazione sudafricana MTN finanziò la ristrutturazione di numerosi stadi locali con un importo di oltre 600.000 dollari che scomparvero nelle tasche dei manager camerunensi.
Il merito e il talento dei calciatori africani passano quindi in secondo piano davanti agli interessi di agenti e gli intermediari dei club calcistici, che non si preoccupano di tutelare i loro diritti.
La Nation Players Union of Namibia dichiara che il 63% dei giocatori non ha una copia del proprio contratto, che può essere liberamente modificato dal club senza il loro consenso. Secondo le statistiche di FIFAPRO del 2016, il 15% dei calciatori in Africa non ha affatto un contratto.
Il contesto calcistico africano demotiva così i calciatori africani fungendo, da push factor di emigrazione verso l’Europa alla ricerca di “campi più verdi”.
Altro fattore che incrementa tale fenomeno migratorio è l’instabilità politica di alcuni Paesi.
Secondo l’Alto Commissario per i diritti umani, i cittadini eritrei subiscono sistematiche violazioni dei loro diritti da parte del governo autoritario. I calciatori eritrei in trasferta all’estero hanno più volte colto l’opportunità di lasciare il loro Paese richiedendo l’asilo politico ai governi ospitanti.
La “fuga dei muscoli” e quel che resta in Africa
Le principali leghe calcistiche europee (Italia, Inghilterra, Germania, Spagna, Francia) hanno generato nella stagione 2019/2020 quasi 17 miliardi di euro, un record nella storia della calcio. La FIFA, che aggrega 211 organizzazioni, ha fatturato del 2018 oltre 4 miliardi di dollari americani, la metà dei quali provenienti da diritti televisivi. Poi, c’è il mercato dei transfer che rappresenta un notevole business: il totale delle fee in Premier League ha una tendenza crescente e nel 2019 corrispondeva a circa 2 miliardi di euro.
Le disparità economiche e di prospettive tra il mercato calcistico internazionale e quello africano, hanno invitato le società europee e internazionali ad aumentare l’acquisizione di giovani calciatori africani, perché promettenti e a basso costo.
La “fuga dei muscoli” (muscle drain) – è una sindrome di cui soffrono Paesi come Nigeria, Costa d’avorio, Camerun, Senegal e Ghana, e che corrisponde alla perdita di un motore dell’industria africana del calcio e una conseguente deprivazione di risorse economiche che ne deriverebbero. Ai trasferimenti di calciatori africani inoltre, non solo non corrispondono fee adeguate, ma difficilmente queste saranno reinvestite in infrastrutture calcistiche.
Le regolamentazioni dei sistemi dei transfer (in capo agli organismi internazionali, in primis FIFA E UEFA), hanno subito diverse modifiche nel tempo, soprattutto in relazione al trasferimento dei calciatori stranieri europei, il cui numero, inizialmente limitato, fu liberalizzato alla fine degli anni ‘90 nel rispetto dell’articolo 39 dei Trattati di Roma che tutela la libertà di circolazione e lavoro sul territorio dell’Unione Europea (Noto il “Caso Bosman” del 1995 e i suoi effetti sul mercato calcistico europeo). Il trasferimento dei calciatori extra-comunitari invece, ha continuato a subire delle limitazioni numeriche, ma la sua convenineza ha stimolato “escamotage” per superarli (come il business dei passaporti falsi che attribuivano discendenze europee ad africani e sudamericani).
In questo contesto, i club africani, incapaci di trattenere i loro calciatori, finiscono per svolgere sempre più la funzione di talent scout per le società europee, senza ricavarne alcun beneficio economico da reinvestire in infrastrutture. I media africani hanno una responsabilità nel fomentare questo fenomeno: basti pensare che nel 2011 la compagnia Airtel Africa promosse in 17 Paesi africani l’iniziativa “Airtel rising stars” rivolta a ragazzi e ragazze tra i 13 e 17 anni appassionati di calcio per dare loro l’opportunità di “esibirsi” su un palco internazionale e mostrare le loro abilità ad allenatori della UEFA.
Inutile dire che gli stessi media scelgono di raccontare solo i successi di talentuosi giocatori che hanno coronato il loro sogno in Europa, tralasciando gli “inconvenienti” di quel sistema dei transfer in cui si nasconde il lato più oscuro del calcio. Non è un caso che numerosi casi di trafficking e sfruttamento di giovani calciatori, si siano verificati proprio in Belgio, le cui regole nell’assunzione di giocatori non-europei sono meno restrittive, motivo per cui il Paese è generalmente considerato un trampolino di lancio verso una carriera internazionale. Nel 2001, il politico belga Jean-Marie Dedecker, denunciò 422 casi di traffico illegale di calciatori nigeriani gestiti da società sportive fasulle (non registrate e senza licenze). Il fenomeno è ormai noto alla comunità internazionale, anche grazie alle denunce dell’UNHCR e la pubblicazione di articoli giornalistici, documentari di approfondimento.
Nel 2010 la FIFA lanciò un nuovo sistema di regolamentazione dei transfer “International Transfer Matching System” (IITMS) con l’obiettivo di ostacolare il traffico illegale dei calciatori attraverso, ad esempio, il divieto di trasferimenti internazionali di calciatori minorenni, prevedendo però delle eccezioni che ne hanno ridotto i benefici.
La strada verso un calcio anche africano
L’emigrazione dei calciatori africani, che ha minato lo sviluppo dello sport nel continente, privandolo di “risorse” sia umane che economiche con conseguenze sulla qualità delle competizioni africane, contribuisce ad accrescere la fama dello sport europeo, mitizzandolo agli occhi di giovani calciatori.
La CAF, che attualmente unisce 24 squadre africane, non si impegna adeguatamente nella sensibilizzazione delle comunità locali, aspiranti calciatori inclusi, sui rischi e l’illegalità nel mercato calcistico, affinché siano in grado di riconoscere e denunciare eventuali proposte poco trasparenti. La Federazione inoltre, dovrebbe essere garante di regolarità e correttezza, verificando sistematicamente le procedure di registrazione delle scuole e dei club calcistici africani al fine di impedire l’accesso al mercato a organizzazioni discutibili.
Un’importante azione di prevenzione è svolta, invece, dalla Federazione Internazionale per la protezione dei giovani calciatori Foot Solidaire. Fondata nel 2001 dall’ex calciatore di origine camerunense Jean-Claude Mbvoumin, l’organizzazione ha l’obiettivo di offrire supporto ai più giovani aspiranti calciatori, con o senza contratto calcistico, proteggendoli dai principali rischi. Il programma di protezione YOPPA (Young Players’ Protection in Africa, America, Asia and Europe) è un insieme di dispositivi e attività di mediazione, informazione, sensibilizzazione e tutoraggio per la diffusione di buone pratiche e la prevenzione dei principali rischi che corrono i più giovani calciatori, come lo sfruttamento economico, l’emigrazione forzata, le discriminazioni, gli abusi.
L’emigrazione dei calciatori africani non può considerarsi una scelta libera e consapevole, ma un fenomeno complesso risultato di quei fattori push e pull che concorrono a rafforzare quell’unica immagine del calcio come “lo sport più bello del mondo”. Società sportive internazionali e africane, media internazionali e africani, falsi club sportivi e agenti fasulli raccontano, complici, le storie di successo e fama di pochi, dietro cui nascondere i rischi di sfruttamento e i fallimenti di molti.
Le promesse di benessere e ricchezza celano rilevanti interessi politici ed economici e spingono in prima linea i giovani calciatori africani, nati con il pallone, che sognano di raggiungere i campi “più verdi”.
(Irene Aprile – Amistades)
Fonti
- “Football players’ production index: measuring nations’ contributions” di R. Poli, L. Ravenel e R. Besson – CIES Football Observatory Monthly Report (2020) https://football-observatory.com/IMG/sites/mr/mr55/en/
- “Greener Pitches: African Footballers and Labor Market Migration in European Football” di I. Okwechime e O. A. Adetiloye – World Review of Political Economy (2019) https://www.jstor.org/stable/10.13169/worlrevipoliecon.10.3.0377
- “FIFA – Statistics & Facts”, di David Lange (2020) FIFA – Statistics & Facts | Statista
- “How Fifpro and the Danish Union tackled Trafficking of Nigerian Players” (2020) https://www.fifpro.org/en/rights/legal-cases/legal-case-fc-midtjylland-and-nigerian-minors
- “Black Diamond: Fool’s gold” di Pascale Lamche, documentario sul traffico internazionale di giovani aspiranti calciatori africani.
- “Made in Senegal” documentario autobiografico del calciatore Sadio Mané, disponibile su Rakuten TV.