Stabilità, pace, sicurezza: queste le parole chiave del presidente candidato Idriss Deby Itno, l’uomo forte del Ciad dal 1990. Il maresciallo, più alto grado della gerarchia militare conferitogli lo scorso giugno dall’Assemblea nazionale per la sua lotta al terrorismo, è candidato alla propria successione per un sesto mandato consecutivo. Vanta il sostegno di oltre 113 partiti politici, allorché l’opposizione denuncia assenza di libertà e repressione in vista delle elezioni di domenica 11 aprile.
Sono tre i pilastri del programma di Deby: un Ciad di pace e sicurezza, un Ciad più unito, vale a dire che intende rafforzare i settori della salute, dell’istruzione e della formazione, e lo sviluppo. In sostanza – ha spiegato il direttore di campagna elettorale J.B. Padaré all’emittente Rfi – il presidente Deby propone di “rafforzare e integrare ciò che è già stato fatto”.
L’attuale generazione del Ciad, molto giovane, ha conosciuto solo Deby al potere. La maggior parte dei ciadiani ha ben meno dei 31 anni accumulati sulla poltrona del leader 68enne, e questo aspetto, oltre all’aspirazione all’alternanza ai vertici, è uno dei principali argomenti dell’opposizione. Un’opposizione alla quale Padaré risponde in questi termini: “anziché fare controproposte, (l’opposizione) preferisce lanciare appelli all’insurrezione popolare, per destabilizzare le istituzioni della Repubblica”.
Guardando agli ultimi trent’anni, lo schieramento di Deby è solito ricordare che i primi dieci anni sono serviti a “stabilire e ancorare la democrazia, la pace e la sicurezza”, in un Paese allora dilaniato dalla precedente guerra contro la Libia e dalla dittatura di Hissène Habré, rovesciato da Deby nel dicembre 1990.
Delle organizzazioni che regolarmente contestano i bilanci encomiastici del partito al governo da tre decenni, J.B. Padaré dice che sono pilotate da non meglio precisati complici e che “non daranno mai le vere tendenze e le vere condizioni di vita dei ciadiani”. Dichiarazioni propagandistiche che difficilmente riescono a cancellare gli annosi problemi di tensioni intercomunitarie tra pastori e agricoltori, la fotografia dello sviluppo sull’intero territorio nazionale – e non solo la capitale N’Djamena – la disoccupazione o ancora, la minaccia del gruppo armato Boko Haram, che nella regione del Lago Ciad è responsabile di attacchi a civili e militari.
Il rispetto di cui gode il presidente ciadiano sulla scena africana è soprattutto dovuto al suo impegno militare. Negli ultimi anni, è stato considerato il miglior alleato africano dei Paesi della regione del Sahel nella lotta al terrorismo, nonostante gli abusi di cui sono a volte accusati i suoi soldati (ultimo caso, lo stupro di donne in Niger, ma sono ricorrenti le denunce di arresti arbitrari e torture). Deby è inoltre un alleato dell’Occidente e soprattutto della Francia, che appoggiò il suo golpe del 1990 e da allora è già intervenuta più volte per salvarlo da minacciose insurrezioni, privilegiando il mantenimento di un leader stabile in una regione circondata da situazioni più instabili. Paese petrolifero, il Ciad occupa anche una posizione strategica nei crocevia del Sahel.
Nel frattempo, diverse persone, tra cui esponenti politici dell’opposizione, sono state arrestate tra martedì e ieri in Ciad, ma sono mesi che l’opposizione denuncia libertà negate e repressione. Il ministero della Pubblica Sicurezza e dell’Immigrazione sostiene che si tratta di arresti di individui “che hanno pianificato atti terroristici, tra cui l’attacco con esplosivi alla sede della commissione elettorale e il saccheggio delle urne elettorali”. Il comunicato del ministero, secondo Alwihda Info, afferma inoltre che il gruppo arrestato “ha anche pianificato l’assassinio mirato dei leader dei partiti politici dell’opposizione democratica e delle associazioni della società civile per incolpare il governo”.
Vicende che fanno salire la tensione in vista del voto di domenica anche in considerazione del fatto che la maggioranza dell’opposizione, divisa, ha chiesto di boicottare le elezioni di cui, sostiene, i risultati sono già pre-compilati. “Il regime ha paura del boicottaggio delle elezioni e sta cercando di mettere a tacere le voci discordanti, sia nell’opposizione che nella società civile”, ritiene Jacques Saham Ngarassal, attivista della società civile ciadiana e coordinatore della piattaforma Tournons la page (Tlp), intervistato da AfricaRivista/InfoAfrica. “Le elezioni previste domenica sono pre-confezionate e lo sanno bene i cittadini, che non stanno dimostrando un grande interesse per questa scadenza elettorale”, continua l’attivista. Secondo Ngarassal, le autorità hanno attivato “tutti i meccanismi di intimidazione, di repressione, per urtare le voci discordanti”. Persino i leader della società civile, spiega, sono sotto sorveglianza temono che le reti telefoniche e Internet siano interrotte per silenziare ogni voce di dissenso.
A conclusione di un cammino travagliato verso le elezioni dell’11 aprile, l’opposizione politica ciadiana è divisa tra coloro che sono stati esclusi dalla corsa, coloro che hanno scelto di ritirarsi denunciando regole inique e sostengono il boicottaggio, e i sei candidati rimasti in lizza per affrontare l’intramontabile Idriss Deby Itno. Oppositori di facciata secondo alcuni, le loro promesse elettorali convergono sul cambiamento e il miglioramento delle condizioni di vita e della sicurezza.
(Céline Camoin)