“Kufid”, documentario del regista Elia Moutamid, presentato in occasione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, porta sullo schermo l’alienazione per il lockdown imposto dalla pandemia, e tocca temi che tracciano un’analisi della società italiana di oggi. Per chi se lo fosse perso, sarà presto disponibile nelle sale.
di Annamaria Gallone
Il doloroso, alienante lockdown causato dal Covid è un tema affrontato da molti registi, ma forse una delle interpretazioni più originali e interessanti è quella di Kufid del regista bresciano di origine marocchina Elia Moutamid.
Nel dicembre 2019 Elia inizia a girare un documentario sulla gentrificazione del centro di Fez. Un capitolo di quel fenomeno mondiale che «attraverso la rigenerazione urbana e la lotta al degrado porta spesso alla sostituzione degli abitanti». Al suo ritorno in Italia, resta bloccato a Brescia a causa della pandemia e inizia a scrivere un diario della quarantena, colloquiando con un amico immaginario, Kufid, appunto, storpiatura arabeggiante di Covid. La ricerca su Fez è interrotta, ma il regista inserisce anche le immagini girate nel suo diario bresciano, in cui ritroviamo molto di noi tutti che, obbligati a restare rinchiusi, ci annoiamo e cerchiamo di sfruttare al meglio il tempo della costrizione. Così Elia, rimasto solo con la moglie, prende il sole in terrazza, corre in giro sul praticello angusto del suo giardino, pulisce maniacalmente la casa, parla angosciato a distanza con il fratello che ha la polmonite. È ansioso di portare in Italia il padre, prima che resti bloccato in Marocco.
Quella di Moutamid è anche un’analisi sulla società italiana di oggi. Sul razzismo, ad esempio. «C’è chi ha un razzismo scientifico, intellettuale, colto, e con loro c’è poco da fare, ma sono una minoranza. I più sono solo ignoranti, temono qualcosa che non conoscono: davanti a un marocchino cresciuto serenamente qui, si sciolgono. Quando inizio a parlare in dialetto stretto gli xenofobi vanno in tilt, ora sui social ho diversi amici leghisti… Puoi sentirti bresciano quanto vuoi, ma sei diverso, la tua esistenza è comunque scandita dalla necessità di «vivere e dimostrare», devi essere sempre pronto a spiegare che sei un «musulmano moderato», che non sei «come loro», a dimostrare che sei “come noi”.
Il film è un dialogo continuo con degli interlocutori che non rispondono. Il regista parla a Kufid, parla a noi, fuori campo in arabo: «Fin da bambino, in famiglia, è stato la lingua delle cose serie, dell’emotività» Quando invece ci appare la sua immagine, Elia parla la sua lingua di tutti i giorni, il bresciano: “Ho sempre vissuto qui, in campagna. I miei zii acquisiti sono di qui, sono cresciuto in mezzo a una grande famiglia intrisa di cattolicesimo”. Al Paese delle sue radici, però, Elia è fortemente legato, come emerge anche nel suo film precedente, Talien, un road movie che racconta il suo viaggio da Brescia a Fez insieme al padre, emigrato un tempo in Italia, prima venditore ambulante e poi imprenditore.
Anche per questo Kufid è affascinante, perché ci porta in un mondo lontano e al tempo stesso vicino, due mondi che vivono lo stesso triste fenomeno di omologazione.
Presentato nella sezione Italiana DOC del 38° Torino Film Festival e nella sezione Extra del FESCAAAL (Festival di Cinema Africano, d’Asia e America Latina) in cui ha ricevuto una menzione speciale, è uno dei film che sarà distribuito nelle sale da Cineclub Internazionale.
Anche questo è uno dei meriti dei Festival.
L’autrice dell’articolo, Annamaria Gallone, tra le massime esperte di cinema africano, terrà a Milano il 16 e 17 Ottobre 2021 il seminario “Schermi d’Africa” dedicato alla cinematografia africana. Per il programma e le iscrizioni clicca qui