L’industria sudafricana del sesso non conosce crisi. Ai tempi dell’apartheid il moralismo degli afrikaner censurava e puniva ogni manifestazione pubblica che alludesse all’erotismo. Oggi nel Paese fioriscono sexy shop, fiere sadomaso, strip club, imprese specializzati in prodotti e servizi per soli adulti
di Paola Marelli
L’industria del sesso non conosce crisi in Sudafrica. Insensibile alla recessione globale post-pandemia che ha causato pesanti ripercussioni sui settori trainanti del Paese (manifatturiero, minerario e turistico), il business dell’erotismo continua a crescere. Un comparto in pieno sviluppo, quello della sex economy, alimentato dal mercato interno che poggia sul potere d’acquisto della classe media (assai meno colpita dalla crisi abbattutasi come una scure sulle fasce più deboli della società).
I numeri sorridono agli impresari del settore. La sudafricana Cumtree, che gestisce l’omonimo sito web di incontri per adulti, vanta profitti record. Affari garantiti dal suo colossale database, in continua crescita, che permette di cercare il partner giusto: per un matrimonio o una relazione sentimentale, o anche solo un’avventura sessuale.
Cose mai viste
Vanno a gonfie vele anche gli affari di sex shop e strip club fioriti in ogni città negli ultimi vent’anni. E fanno il pieno le fiere del settore, da Sex Expo a Diabolique (il più grande festival fetish del continente).
Tanta disinibita ostentazione del sesso sarebbe stata inconcepibile ai tempi dell’apartheid, quando a governare erano gli afrikaner, cristiani rigoristi e puritani. Gli eredi dei primi coloni olandesi erano inflessibili moralisti quando si trattava di condannare ogni forma di pulsione erotica (salvo giustificare la feroce repressione dei neri). Fino al 1994 il sesso non poteva essere multirazziale né pubblico. La pornografia era severamente vietata, così come la vendita di giochi e oggetti erotici. La censura impediva ai negozi di mettere in vetrina lingerie, magliette scollate, minigonne, pantaloni attillati. Chiunque fosse stato sorpreso a sfogliare una copia di Playboy poteva essere arrestato. Non esistevano locali per spogliarelli e club di scambisti. Men che meno circoli sadomaso (manette e frustini erano una prerogativa della polizia).
L’ombra dell’aids
Il crollo del regime segregazionista ha cambiato tutto. Nel 1994 la Nazione Arcobaleno si è dotata di una Costituzione progressista, considerata tra le più liberali al mondo. La legalizzazione dei matrimoni omosessuali ha demolito gli ultimi tabù calvinisti (benché l’omofobia sia diffusa anche nelle ex township nere). I governanti dell’African National Congress hanno spalancato le porte del Paese a chiunque commerci prodotti hot e servizi per solo adulti. In breve tempo sono fioriti sexy shop, night bar ad alto tasso erotico, locali di striptease e lap dance.
L’industria del sesso è ovviamente soggetta a una serie di restrizioni ed è regolamentata da leggi che, per esempio, puniscono la partecipazione dei minori nel settore, come pure il traffico di persone a scopo di prostituzione. Inoltre la diffusione dell’aids – stimata essere in Sudafrica la più elevata al mondo – ha spinto le autorità a prestare attenzione (con fermezza ed efficienza altalenanti) ai temi della prevenzione e dell’educazione sessuale. «Sesso sì, ma sicuro e responsabile», esortano le campagne del governo, frantumando i tabù nel parlare apertamente di pillole e preservativi. A poco servono gli anatemi lanciati dai leader religiosi contro quella che i dignitari delle Chiese cristiane hanno più volte definito «una deriva immorale e indecente verso la perversione».
Il Sudafrica ha compiuto un percorso di liberalizzazione dei costumi sessuali che non ha eguali nel continente. Il settore oggi garantisce migliaia di posti di lavoro. E nessun politico è intenzionato a portare indietro le lancette della storia.
(Paola Marelli)
Questo articolo è uscito sul numero 5/2020. Per acquistare una copia della rivista, clicca qui, o visita l’e-shop.