Mali, oggi l’investitura di Goita alla presidenza

di Valentina Milani

Si tiene oggi, lunedì 7 giugno, alle 10, la cerimonia di giuramento del colonnello Assimi Goita alla presidenza del Mali presso il Centro congresso internazionale di Bamako, la capitale. Lo si apprende nella lettera d’invito alla cerimonia del ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale indirizzata alle missioni diplomatiche e alle organizzazioni internazionali in Mali, di cui la nostra redazione ha ottenuto copia.

Goita, già artefice del golpe dello scorso 18 agosto assieme a un piccolo gruppo di militari, ha scartato con un colpo di mano il 24 maggio il presidente della transizione Bah N’Daw e il primo ministro Moctar Ouane, accusandoli di essere responsabili di una serie di disfunzionamenti che hanno ostacolato il buon andamento della transizione.

La mossa, considerata un golpe dalla maggior parte della comunità internazionale che non può accettare un cambio al potere con la forza, è stata condannata tra l’altro dall’Onu, dalla comunità dell’Africa occidentale, dall’Unione africana e dalla Francia, che giovedì scorso ha annunciato la sospensione temporanea delle operazioni militari congiunte con le forze armate maliane. È probabile, in un tale contesto, che i rappresentanti della comunità internazionale siano assenti alla cerimonia d’investitura.

Parigi precisa che sono state stabilite esigenze e linee rosse da non superare da parte della comunità economica dell’Africa occidentale (Ecowas/Cedeao) e dell’Unione africana, e che spetta alle autorità maliane rispondere in fretta. In attesa di queste garanzie, la Francia, dopo aver informato i suoi partner e le autorità maliane, ha deciso di sospendere, in via precauzionale e temporaneamente, le operazioni militari congiunte con le forze maliane e le missioni consultive nazionali a loro vantaggio. È sospesa anche la formazione dei militari maliani. Concretamente, scrive Jeune Afrique, tutte le missioni operative congiunte tra i soldati della forza francese Barkhane e le Forze armate maliane (Fama) sono sospese dal  giovedì 3 giugno.

Dopo l’estromissione del presidente della transizione, Bah N’Daw, e del suo primo ministro, Moctar Ouane, da parte dei soldati dell’ex giunta guidata dal colonnello Assimi Goita, il presidente francese Emmanuel Macron ha denunciato un “colpo di Stato” inaccettabile . Poi, in un’intervista al settimanale francese Le Journal du dimanche, ha minacciato un possibile ritiro delle truppe francesi presenti in Mali per la lotta ai gruppi terroristi.

Sui social network, sono già numerose le reazioni di chi da tempo critica l’operato della Francia in Mali e la presenza della forza Barkhane, percepita come una forza d’occupazione volta proteggere gli interessi francesi, e che finora, in quasi otto anni, non è riuscita a sconfiggere il terrorismo né a favorire la stabilità del Paese. Alcuni ritengono che le minacce di ritiro siano solo un annuncio a effetto e che la Francia non si ritirerà mai dal Mali; altri non vedono l’ora si concretizzi tale ‘minaccia’ francese di ritiro.  Altri invece si chiedono se sia possibile una lotta ai gruppi terroristi – i rami locali di Al Qaida e dell’Isis – sempre più agguerriti, senza un appoggio delle forze francesi e dell’intelligence di Parigi.

Intanto, sembra che il Belgio e la Danimarca, coinvolti nel sostegno militare europeo alla sicurezza nel Sahel, abbiano per ora congelato qualsiasi contributo, seguendo le disposizioni di Parigi.

Il 30 maggio i capi di Stato dell’Ecowas si sono incontrati per un vertice straordinario ad Accra, in Ghana, per discutere della situazione in Mali. Hanno deciso di sospendere Bamako dagli organi dell’organizzazione sub-regionale e di condannare il “colpo di stato” del 24 maggio, pur tacendo sulla nomina del colonnello Goita a nuovo presidente della transizione maliana. I membri dell’Ecowas hanno anche chiesto la nomina immediata di un “nuovo primo ministro civile” e la formazione di un “nuovo governo inclusivo” per continuare l’agenda di transizione. Hanno infine chiesto il rispetto del periodo di transizione, fissato a diciotto mesi, e l’organizzazione delle elezioni entro e non oltre il 27 febbraio 2022.

(Céline Camoin)

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