Nel sud-ovest della Nigeria sono attese sabato manifestazioni pacifiche per chiedere la secessione Yoruba e quindi la costituzione della Repubblica di Oduduwa, che dovrebbe includere anche parte dell’attuale Benin.
Il popolare agitatore Yoruba, Sunday Adeyemo, conosciuto anche come Sunday Igboho, ha invitato i governatori del sud-ovest a collaborare con i manifestanti e ha lanciato un monito al governo federale: “se ci sarà uno spargimento di sangue questo fine settimana, il governo deve sapere che la comunità internazionale sta guardando”.
L’impressione però è che, al di fuori dai confini e della diaspora nigeriana, la questione separatista non sia ancora stata presa troppo sul serio. “A mio avviso non esiste la possibilità che la Nigeria si sfaldi: malgrado le apparenze e le notizie che circolano, lo Stato è forte e le organizzazioni e i gruppi di supporto alle istituzioni sono meglio organizzati di qualsivoglia gruppo separatista”, ci ha detto poche settimane fa Alessio Iocchi, analista politico e senior research fellow al Norwegian Institute of International Affairs (Nupi) di Oslo, Norvegia.
“La questione è serissima e non è mai stata più seria di così”, dicono invece i sostenitori della nazione Yoruba, che nel frattempo hanno tenuto raduni negli stati del sud-ovest – in particolare Osun, Ogun, Ekiti e Ondo – e si sono organizzati per fare sentire la loro voce anche in Europa e in generale in Occidente.
In Italia, per esempio, l’appuntamento è a Roma, sempre sabato, in piazza San Giovanni, dalle 14 alle 17. La manifestazione è stata autorizzata per 500 persone ma gli organizzatori ne prevedono molte di più, anche perché i promotori non sono solo yoruba: in piazza scenderanno anche gli indipendentisti igbo del Biafra, che fanno capo al movimento per gli Indigeni del Biafra Ipob.
La collaborazione tra le due componenti secessioniste, considerata improbabile da diversi analisti fino a poco tempo fa, rappresenta un elemento di novità. La collaborazione, sottolineano gli interessati, comunque non è da intendersi come il preludio di una fusione. “Il nostro obiettivo”, spiegano gli organizzatori della manifestazione italiana, “rimane quello di separaci da questo stato fallito e inventato che viene chiamato Nigeria e dare vita a due nazioni differenti”. Dopo Roma ci saranno altre manifestazioni, assicurano.
I sostenitori della Repubblica di Oduduwa vedono nei pastori fulani i principali nemici. Le incursioni criminali attribuite ai pastori, non solo nella Meddle Belt (la regione centrale della Nigeria) ma anche nel sud sono aumentate negli ultimi mesi e il governo federale è accusato di non fare nulla per fermarle. “I pastori fulani sono sulla carta dei connazionali, nella realtà non hanno nulla da spartire con noi e ci bersagliano con la violenza nell’indifferenza del governo”, dicono gli agitatori yoruba.
Il silenzio del presidente Muhammadu Buhari sulle recenti uccisioni perpetrate ai danni della comunità di Igangan sarebbe indicativo di questa indifferenza, ha detto al riguardo proprio ieri il leader del Partito Democratico Popolare (Pdp), Bode George, sottolineando che Buhari non per niente è un fulani.
Gli indipendentisti yoruba affermano di avere contattato molte volte il governo federale, evidenziando la criticità della situazione e la richiesta di un referendum, ma di non avere mai avuto risposta.
In realtà Buhari una risposta, durissima, l’ha data pochi giorni fa, attraverso Twitter, scrivendo che uno “shock brutale” attende quegli elementi non patriottici che promuovono l’insurrezione e bruciano risorse nazionali nel Paese e che con queste persone il governo federale userà una lingua che loro possono capire, ossia le maniere forti. I tweet presidenziali sono stati rimossi, perché contrari alla policy del social network. Ed è stata con ogni probabilità questa rimozone ad avere innescato la messa al bando di Twitter al centro della cronaca di questi giorni. Il messaggio di Buhari però è partito.
La situazione è molto complessa e in divenire. I sostenitori della nazione yoruba insistono a dire che il loro è un movimento pacifico e indicano come obiettivo il referendum, mettendo in conto tuttavia che, se si arriverà a farlo, tutto quello che potrà scaturirne difficilmente sarà pacifico.
Gli indipendentisti dell’Ipob, gruppo che è stato messo fuori legge nel 2017, sono dotati invece di un braccio armato, l’Eastern Security Network, a cui sono stati attribuiti molti recenti attacchi contro strutture statali e istituzionali.
Il premio Nobel nigeriano Wole Soyinka, di etnia yoruba e in passato sostenitore di Buhari, ha preso posizione pochi giorni fa a favore dei separatisti, affermando che essi hanno il diritto, in quanto cittadini liberi, di chiedere la secessione e ha accusato il governo federale di usare la forza contro gli agitatori dell’autodeterminazione.
L’ex presidente Oluṣẹgun Obasanjo, anche lui yoruba, si sta spendendo invece nella direzione opposta, stigmatizzando le spinte centrifughe e ponendo un’altra questione rilevante: “Se la Nigeria si rompe, i gruppi di minoranza saranno sterminati. Se gli Yoruba, gli Igbo e gli Hausa/Fulani possono pensare di esistere come paesi separati, cosa ne sarà dei gruppi di minoranza? Se la Nigeria si rompe, saranno oppressi e sterminati”.
(Stefania Ragusa)