Le dichiarazioni di Emmanuel Macron non vanno interpretate come un disimpegno della Francia nel Sahel, ma piuttosto verso la creazione di un nuovo schema. Lo ritiene Bakary Samb, direttore del centro analisi Timbuktu Institute, raggiunto a Bamako da Voice of America, a seguito dell’annuncio della fine dell’operazione Barkhane nella sua forma attuale. Ieri il presidente francese ha annunciato che Barkhane lascerà spazio a un’alleanza internazionale il cui obiettivo è la lotta al terrorismo.
Un’alleanza internazionale esiste già contro il terrorismo nel Sahel, l’alleanza G5 Sahel, composta da cinque Paesi africani (Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania e Ciad) che collabora con Barkhane e altri partner internaizionali. “Forse si andrà verso un allargamento dell’alleanza ai Paesi costieri”, ritiene Samb, che sottolinea la tempistica dell’inaugurazione, proprio ieri, di un centro internazionale antiterrorismo ad Abidjan, in Costa d’Avorio. “C’è anche stato un recente forum sulla sicurezza a Dakar, e oggi tutti parlano dell’avanzata folgorante dei gruppi che si allontanano sempre di più dall’epicentro saheliano del jihad”, dice ancora Samb.
L’analista ritiene inoltre che l’annuncio della trasformazione di Barkhane e del ruolo francese nel Sahel rientri nella logica del presidente Macron, che voleva “evitare che la questione del Sahel entrasse nella campagna elettorale per le presidenziali” francesi. Macron aveva già l’intenzione di annunciare l’inizio del ritiro di Barkhane e nel frattempo il presidente ciadiano Idriss Deby Itno è stato ucciso. “Era necessario riaggiustare alcune decisioni” dice ancora il direttore del think-tank sottolineando inoltre il recente secondo golpe in Mali e la crescente contestazione popolare della presenza militare francese sul territorio maliano. “La Francia vuole evitare di stare nel paradosso di una presenza militare francese per combattere i terroristi con i quali andranno inevitabilmente a negoziare Paesi come il Mali”. In Mali, ricorda Samb, la maggior parte degli attori al processo di dialogo nazionale hanno ritenuto che fosse necessario un dialogo con i gruppi terroristici. La Francia è invece contraria a tale opzione.
“È giunto il momento (…) Non possiamo mettere in sicurezza aree che cadono nell’anomia perché gli Stati non si assumono le proprie responsabilità”, ha detto il presidente francese annunciando la svolta nell’operazione, la sua fine nella forma in cui operava finora. Macron ha dichiarato che la presenza francese in Sahel subirà una trasformazione – le cui modalità e tempistiche verranno specificate nelle prossime settimane – ma ha anticipato che questa non sarà più costante come adesso. Il capo di Stato francese ha anche aggiunto che la trasformazione significherà un cambio di modello: “Comporterà il passaggio a un nuovo quadro, ovvero la fine dell’operazione Barkhane come operazione esterna per consentire un’operazione di supporto, sostegno e cooperazione agli eserciti dei Paesi della regione che lo desiderano”.
L’annuncio arriva in un contesto politico e di sicurezza difficile soprattutto in Mali, che ha visto due colpi di Stato nell’arco di nove mesi, con l’aumento degli attacchi di gruppi terroristici nella regione. Dopo aver condannato l’arresto dell’ex presidente della transizione, Bah N’Daw, e del suo primo ministro, Moctar Ouane, Parigi ha deciso di sospendere la sua cooperazione militare con Bamako, chiedendo il ritorno di un governo civile.