Le elezioni del 21 giugno in Etiopia saranno un test per il premier Abiy Ahmed. Arrivato al potere il 2 aprile 2018, ha suscitato grandi aspettative, ma ora, secondo gli analisti politici, sembra aver perso consenso sia in patria sia all’estero.
Nato nella città occidentale di Beshasha da padre musulmano e madre cristiana, Abiy ha raccontato che da ragazzo dormiva per terra in una casa senza elettricità né acqua corrente. Affascinato dalla tecnologia, si è arruolato nell’esercito come operatore radio quando era ancora un adolescente. Nel suo discorso per il Nobel del 2019 ha ricordato i suoi tempi, durante la brutale guerra di confine del 1998-2000 con l’Eritrea, dicendo che la sua intera unità è stata spazzata via in un attacco di artiglieria e lui è sopravvissuto solo perché aveva lasciato una trincea per rafforzare un’antenna. È poi diventato tenente colonnello prima di entrare nel governo responsabile dell’Information Network Security Agency, agenzia di intelligence etiope. In seguito ha lavorato come deputato e ministro della Scienza e della tecnologia.
Una volta al potere ha cambiato i paradigmi di governo. Invece che le brutali repressioni, soprattutto nei confronti della popolazione oromo, ha iniziato a liberare i dissidenti dal carcere, si è scusato per la brutalità dello Stato e ha accolto i gruppi in esilio in patria. Ha poi promesso elezioni democratiche e più spazi per le opposizioni e riforme che rilanciassero l’economia. Tra l’altro è uno dei sostenitori della Grande diga del rinascimento, sbarramento sul Nilo Azzurro che dovrebbe garantire elettricità per lo sviluppo interno e da esportare.
Abiy ha però incontrato una serie di ostacoli, in particolare la violenza etnica persistente anche nella sua nativa Oromia. L’opposizione più forte è stata però quella del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf). Formazione al potere per un ventennio, il Tplf ha conosciuto sotto Abiy una progressiva emarginazione. Quando Abiy ha sciolto l’Eprdf, la coalizione di quattro partiti al potere dalla fine del regime di Mnghistu Hailè Mariam, il Tplf si è rifiutato di aderire. Nel settembre 2020 ha sfidato il primo ministro tenendo elezioni regionali, ignorando il divieto nazionale di votare imposto a causa della pandemia di coronavirus.
Due mesi dopo, con la scusa che il Tplf aveva attaccato alcune basi dell’esercito federale, Abiy ha invaso il Tigray. La guerra che è scoppiata è durata per tutto novembre (ma combattimenti proseguono ancora oggi con i tigrini impegnati in una guerriglia sulle montagne). Nel corso della guerra sono stati segnalate stragi, violenze diffuse e distruzioni sistematiche di infrastrutture e raccolti.
Di fronte a questa situazione, Abiy cerca una conferma dalle urne per riprendere consenso in patria e autorevolezza all’estero.