L’ex presidente del Sudafrica, finito in carcere giovedì scorso, era stato condannato il 29 Giugno nell’ambito di un’inchiesta per corruzione, dovrà scontare una pena di quindici mesi. La sentenza ha scatenato una querelle legale senza precedenti in Sudafrica, tra chi, specialmente nella sua provincia natale del KwaZulu-Natal, lo sostiene e chi alla luce delle sue numerose vicende giudiziarie ha preso positivamente la sua incarcerazione e la considera un primo passo per l’affermazione dello stato di diritto
di Angelo Ravasi
Tenace, spavaldo, sulfureo, irriverente, spregiudicato, Jacob Zuma, ex presidente del Sudafrica, ha dovuto cedere allo stato di diritto. Giovedì scorso, infatti, è stato incarcerato dopo una condanna a 15 mesi – il 29 giugno – nell’ambito di un’inchiesta per corruzione. Dopo diversi giorni di suspense, il carismatico e sulfureo Zuma, che si era guadagnato la nobiltà trascorrendo diversi anni in prigione al fianco dell’icona Nelson Mandela, prima di diventare il formidabile capo dei servizi segreti dell’African National Congress (Anc) in esilio sotto l’apartheid, si è arreso. Con quasi generale stupore. La sentenza – come era prevedibile – ha scatenato una querelle legale senza precedenti in Sudafrica, che non aveva mai visto un ex presidente incarcerato prima d’ora. Zuma si era inizialmente rifiutato di consegnarsi, ma in una breve dichiarazione rilasciata giovedì sera, la Fondazione Jacob Zuma ha riferito che l’ex presidente aveva alla fine “deciso di conformarsi” alla sentenza.
Imprenditori sudafricani di alto profilo sono stati accusati di aver cospirato con i politici per influenzare il processo decisionale mentre Zuma era in carica. L’ex presidente ha respinto le accuse sostenendo più volte di essere vittima di un complotto politico. Sebbene sia stato costretto a dimettersi dal suo stesso partito nel 2018, l’Anc, Zuma mantiene ancora un nutrito gruppo di sostenitori, specialmente nella sua provincia natale del KwaZulu-Natal. Domenica, la folla aveva formato una sorta di scudo umano fuori dalla sontuosa casa di Zuma nel tentativo di impedirne l’arresto. Ma ci sono, anche, molti sudafricani che hanno salutato positivamente l’incarcerazione di Zuma, segno di una nuova era in cui lo stato di diritto sta emergendo rafforzato. “Nessuno è al di sopra della legge”, hanno ripetuto come un mantra molti personaggi famosi della tv sudafricana.
Per la pasionaria anticorruzione, Thuli Madonsela, questo è “un giorno di gloria, perché (la sua incarcerazione) indica che prevale lo stato di diritto“. Se non fosse andato in prigione, “avrebbe causato un’onda d’urto nel sistema”, ha detto Mandosela. La ex mediatrice della Repubblica aveva dettagliato in un rapporto schiacciante e di grande impatto nel 2016, come uomini d’affari di origine indiana, i fratelli Gupta, avessero saccheggiato risorse pubbliche sotto la sua presidenza (2009-2018). L’inossidabile Zuma, il cui secondo nome Gedleyihlekisa che in Zulu significa “colui che ride mentre schiaccia i suoi nemici”, ha cercato di far valere la sua età avanzata, 79 anni. Ma anche l’iniquità – paragonabile secondo lui ai metodi dell’odiato regime di apartheid – di imprigionare prima ancora di giudicare. Ma questi argomenti, come le minacce di caos nel Paese se si “osava” toccargli un solo capello, non hanno avuto presa.
E il ministro della Polizia, più che titubante ad arrestarlo, alla fine ha fatto dietro front, dicendo che era obbligato a rispettare il quadro della legge. Bheki Cele ha ammesso di “non essere pronto ad affrontare le accuse di oltraggio alla giustizia” per non aver eseguito l’ordine. L’Anc, partito storico al potere dalle prime elezioni democratiche del 1994, ne esce a pezzi e, forse, anche per questo ha salutato come una vittoria per “l’indipendenza giudiziaria”, l’arresto dell’ex presidente. Ma, rimane, l’ombra di molti degli alti funzionari dell’Anc che hanno, anche di recente, espresso solidarietà nei confronti del “compagno Zuma”. La fondazione Mandela ha, invece, insistito che Zuma e i suoi sostenitori devono essere “ritenuti responsabili, anche perché la strategia difensiva mirava ad offuscare l’andamento del processo e a ritardare il lavoro della giustizia. L’arresto di Zuma è un primo passo verso l’indipendenza della magistratura e l’affermazione dello stato di diritto”. Zuma, prima del carcere, aveva ottenuto che la Corte Costituzionale riconsiderasse la sua sentenza lunedì prossimo. E il ministro della Giustizia ha chiarito che, come ogni detenuto, può sperare nella libertà vigilata dopo un quarto di pena, poco più di tre mesi.
La vicenda giudiziaria
La vicenda giudiziaria dell’ex presidente sudafricano si trascina da più di vent’anni. Ecco i suoi principali conflitti con la legge: Stupro e “doccia anti-Aids”. Nel 2007 il futuro sorride a Jacob Zuma: prende le redini dell’African National Congress, che due anni dopo lo lancerà alla guida del Sudafrica. Ma già, un clamoroso processo nel 2006 ha lasciato dietro di sé un profumo sulfureo di scandalo. Processato per lo stupro della figlia sieropositiva di uno dei suoi ex compagni di lotta, viene scagionato. Ma l’uscita del futuro presidente, affermato poligamo, sconvolge ancora: afferma in udienza che il suo metodo per evitare qualsiasi trasmissione dell’HIV dopo una relazione non protetta è quello di “fare una doccia”.
Il pollaio e la piscina. Il neoeletto presidente, Zuma, sta ristrutturando per 20 milioni di euro la sua roccaforte di Nkandla, nella campagna Zulu (Est), giustificandola con la necessità di rafforzare la sua sicurezza come capo di stato. Nella lista dei lavori di ristrutturazione ha infilato la creazione di una piscina contro i rischi di incendio, un pollaio e un recinto per il bestiame. L’opposizione ha adito la Corte Costituzionale, che gli ha ordinato di rimborsare 480mila euro. Un episodio ampiamente citato dai suoi avversari per chiederne poi le dimissioni. L’allevatore che ha scalato i ranghi del potere senza mai andare a scuola, gode di un forte sostegno popolare, incarnando i valori tradizionali Zulu.
Il mercato delle armi. I fatti risalgono al 1999 ma più di vent’anni dopo tornano ad essere una minaccia concreta per Zuma: il 19 luglio, infatti, riprenderà il processo per corruzione. In questo caso, è accusato di aver intascato più di quattro milioni di rand (ovvero 235.000 euro al cambio attuale) dalla francese Thales, una delle società aggiudicatarie di un succoso contratto di armi dal valore globale di circa 2,8 miliardi di euro. Pochi giorni prima delle elezioni presidenziali del 2009, un difetto tecnico porta alla caduta delle accuse contro Zuma, che diventa così presidente. Per ora ne ha pagato il prezzo solo il suo stretto consigliere, Schabir Shaik, condannato a quindici anni di carcere.
La “cattura di stato”. È questo lo scandalo che ha scandito la vita politica e mediatica del Paese negli ultimi anni. La storia inizia con l’atterraggio di un aereo che trasportava 200 ospiti nel 2013 in una base militare nei pressi di Pretoria, per un matrimonio organizzato dai fratelli Gupta. Secondo rivelazioni fatte alla stampa, viene alla luce la vicinanza del trio di uomini di origine indiana al presidente e appanna la fine del secondo mandato di Zuma, rieletto nel 2014. Pressioni per l’affidamento degli appalti pubblici, influenza sulla scelta dei ministri. A fine 2016 un rapporto schiacciante del mediatore della Repubblica, Thuli Madonsela, rivela l’entità della “cattura statale”. I fratelli Ajay, Atul e Rajesh Gupta sono, oggi, oggetto di un mandato di cattura internazionale dell’Interpol. Questo dossier fa precipitare il regno di Jacob Zuma, spinto alle dimissioni dall’Anc nel 2018. Costretto prima del suo addio a istituire una commissione d’inchiesta sulla corruzione di Stato, da allora ha usato stratagemmi per evitare di dover testimoniare, cosa che ha finito per portarlo in carcere.
(Angelo Ravasi)