L’islamizzazione del continente africano ha origine tra l’VIII e il XV secolo, un periodo non favorevole allo sciismo, motivo per cui la maggioranza dei musulmani africani è stata di confessione islamica sunnita, almeno fino alla fine degli anni ’70, quando si è registrato un parziale incremento dei fedeli sciiti. Quali sono le motivazioni che hanno portato all’affermazione dello sciismo nell’Africa sub-sahariana e chi sono gli attori statali che influiscono su tale fenomeno?
di Massimiliano Nima Lacerra
Shi’atul Ali
Penisola arabica, Medina, 8 giugno 632 d.C.: muore Mohammad, il Sigillo dei profeti.
Sorge la questione della successione. La maggior parte dei credenti ritiene che il Profeta non avesse designato alcun successore e che fosse compito della neonata comunità islamica eleggerlo, mentre una minoranza sosteneva che Mohammad avesse scelto Ali ibn Abi Talib, suo cugino e genero, sposo di Fatimah. Il primo gruppo affidò l’elezione ad un’assemblea di saggi, il quale elesse Abu Bakr Abdullah ibn Uthman. Il secondo gruppo, largamente in minoranza, ritiene illegittima l’elezione del nuovo califfo e considera Abu Bakr un usurpatore del legittimo diritto di Ali.
Questo è il momento che segna l’inizio dello scisma islamico, divisione che ancora persiste ai giorni nostri. Coloro che avevano considerato giusta e corretta l’elezione del primo califfo vennero chiamati sunniti per la grande importanza da loro attribuita alla Sunna, la Tradizione del Profeta. Gli oppositori dei sunniti, avversi alle elezioni del califfo e seguaci invece del genero del Profeta, Ali, furono conosciuti come sciiti, dall’arabo shi’a (trad. letterale “fazione”, “partito”) e fu impiegata per connotare gli scissionisti in quanto coloro che sostenevano Ali venivano chiamati Shi’atul Ali, “il partito di Ali”.
Il conflitto religioso raggiunse l’apice nella battaglia di Karbala del 680, combattuta tra Hossein, figlio di Ali e Fatimah e nipote del Profeta, e il callifo Yazid.
Dopo quest’episodio la shi’a rimane in minoranza e verrà perseguita fino al XVI sec. d.C., quando in Persia giungeranno al potere i Safavidi che renderanno lo sciismo religione di stato e confessione ufficiale. Risulta essere questo il vero input di crescita che nei tre secoli successivi porterà allo sviluppo dello sciismo in Iran, Iraq e Yemen, seppur con confessioni diverse.
L’acme dell’influenza sciita nel mondo musulmano si è manifestata con la rivoluzione iraniana del 1979, sotto la guida dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, il quale istituisce la Repubblica Islamica d’Iran, espressione massima dell’attivismo politico sciita tuttora esistente, la cui Costituzione è basata sulla sha’ria interpretata in chiave giuridica sciita duodecimana.
L’attivismo politico sciita e l’esportazione della Rivoluzione islamica iraniana
Il fenomeno dell’attivismo politico sciita risulta essere piuttosto recente, frutto di processi sociopolitici sviluppatesi durante l’ultimo secolo. Il pensiero politico sciita classico da sempre si reggeva sull’idea che uno Stato è legittimo soltanto in presenza di un imam che ha il compito di dirigere la comunità; in assenza di un imam che sappia incarnare l’eredità del Profeta guidando in modo giusto e impeccabile i fedeli secondo i precetti religiosi, i credenti devono avere il buon senso di vivere in taqiyya, una situazione di prudenza politica e mimetizzazione religiosa.
Con l’inizio del Novecento però, le istanze di un “risveglio” della shia divengono sempre più forti. Nel mondo sciita, sono due le figure che guidano l’esigenza di rinnovamento: Mohammad Baqer al-Sadr, in Libano e Ruhollah Khomeini, in Iraq. In particolare, quest’ultimo codifica lo sciismo duodecimano come oggi lo conosciamo, arrivando ad instaurare istituzionalmente uno Stato islamico in Iran. La Rivoluzione islamica iraniana del febbraio del 1979 non rappresenta solo il rovesciamento del potere secolare monarchico dello shah e il conseguente trionfo politico dell’Islam sciita, ma diviene anche esempio di riferimento per tutto il mondo islamico che indistintamente guarda a Khomeini e ne resta affascinato dal carisma. Khomeini ritiene la Rivoluzione iraniana solo un primo tassello di una rivoluzione islamica mondiale.
La dicotomia Sunna/Shia dal Medio Oriente all’Africa
La continuazione del conflitto interreligioso che portò allo scisma in seno all’Islam con la genesi della shia, rivive ancora oggi nelle dinamiche internazionali che vedono coinvolti il regno dell’Arabia Saudita, campione dei sunniti, e la Repubblica Islamica d’Iran, protettrice di tutti gli sciiti nel mondo.
Il conflitto per l’egemonia religiosa e geopolitica di questi due attori ha da vari decenni assunto una dimensione globale e multilivello: risulta essere un conflitto settario (sunnah contro shia), etnico (arabi contro persiani), ideologico e retorico (Stati Uniti contro Asse della Resistenza) oltre che geopolitico.
Infatti, la dottrina khomeinista, in particolare il concetto dell’”esportazione della Rivoluzione islamica”, impone una politica estera particolarmente propositiva e lanciata al di fuori dei confini nazionali e regionali. Nonostante il focus del conflitto rimanga il Medio Oriente e l’egemonia sul Golfo Persico, negli ultimi decenni un nuovo fronte di confronto si è aperto proprio nel continente africano. Non sorprende che l’Africa sia diventata un’altra arena di confronto della rivalità saudita–iraniana: con quasi 650 milioni di aderenti all’Islam – il 30% della popolazione musulmana mondiale–, ricchezze naturali non sfruttate e una posizione strategica, il continente africano offre grandi ricompense.
L’Iran in Africa
Storicamente, l’Africa non è stata in cima all’agenda estera dell’Iran, pur avendo sempre mantenuto rapporti diplomatici. Durante la monarchia Pahlavi (1925-79), il ministro degli esteri dello shah manteneva rapporti con l’imperatore etiope Haile Selassie, con il Sudafrica, con la monarchia marocchina e con il presidente egiziano Anwar Sadat, che si configurava – di fatto – come un dovere diplomatico imposto anche dall’alleanza con gli Stati Uniti.
Ai giorni nostri i legami internazionali dell’Iran sono profondamente mutati. Come risposta all’isolamento internazionale e alle sanzioni economiche imposte alla Repubblica Islamica negli ultimi dieci anni come conseguenza del suo programma di arricchimento dell’uranio ripreso sotto la presidenza di Mahmud Ahmadinejad nel 2010, l’Iran cerca di espandere la propria influenza in Africa.
Vengono compiuti sforzi significativi da parte di Teheran per instaurare relazioni con gli Stati africani attraverso incontri bilaterali di alto livello e la creazione di una rete di contatti con molti Paesi africani al fine di compensare il deterioramento dei legami diplomatici e commerciali dell’Iran con i suoi tradizionali partner commerciali in Europa e nell’Asia orientale.
Durante la propria presidenza, Ahmadinejad ha effettuato più di sei viaggi in Paesi dell’Africa occidentale. Durante il suo mandato (2005-13), ha profuso ampi sforzi per stabilire una presenza iraniana in Africa con l’obiettivo di controbilanciare l’influenza saudita oltre che per promuovere rapporti religiosi di stampo sciita.
Oltre alle mere questioni di influenza religiosa, la Repubblica islamica si è adoperata per instaurare programmi di cooperazione militare, soprattutto nella regione del Corno d’Africa, zona di importanza strategica per la presenza dello stretto di Bab el-Mandeb, come dimostrano gli accordi militari e di condivisione informativa siglati con Sudan, Eritrea e Somalia.
L’Eritrea in particolare è un alleato chiave dell’Iran, consentendo alla marina militare iraniana di utilizzare i suoi porti, di rilevanza strategica per la causa sciita per la vicinanza all’alleato Houthi – proxy iraniano in lotta contro il governo saudita – e per il notevole punto di appoggio nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden. Parallelamente, la marina iraniana ha siglato un accordo con la Tanzania che le consente di effettuare visite regolari nei suoi porti.
Lo Sciismo in Africa
L’Iran ha cercato di estendere gradualmente la propria influenza nel profondo dell’Africa, facendo affidamento su vari asset, strategie e alleanze per promuovere i propri interessi. De facto, l’influenza geopolitica iraniana viaggia parallelamente all’esportazione del pattern religioso di stampo khomeinista-rivoluzionario ed una delle strategie in questione è proprio lo sviluppo delle comunità sciite – circa il 5-10% della popolazione musulmana africana –attraverso borse di studio, istituti educativi specializzati e centri culturali al fine anche di contrastare il monopolio religioso saudita.
In Africa occidentale, l’Iran ha diffuso lo sciismo per mezzo di iniziative culturali, economiche, diplomatiche e mediatiche. I risultati di questi sforzi sono ben visibili. La creazione di un vero e proprio movimento sciita in Nigeria può essere senza dubbio considerata un successo iraniano: il ben noto Movimento Islamico della Nigeria (Islamic Movement in Nigeria, IMN), capeggiato dall’imam nigeriano Ebrahim Zakzaky, si ispira esplicitamente alla figura di Khomeini ed ha come obiettivo la creazione di uno stato di stampo sciita sul modello iraniano.
Similmente alla Nigeria, anche il Senegal possiede un particolare fermento sciita. La storia dell’introduzione della shia in questo Paese si districa su due livelli: la memoria popolare – paragonabile al mito –, e la storia vera e propria. La leggenda racconta di come le prime carovane dei fedeli di Ali arrivarono dal Marocco e, raccontando le sue gesta, aiutarono a disseminare il suo nome. Questo potrebbe spiegare la predilezione per il nome Ali nella società senegalese, il quale viene enunciato con pronunce diverse a seconda delle etnie e delle regioni geografiche: tra i Wolof e i Serer viene pronunciato con accento arabo, tra i Mori diventa Aline, Alé tra gli abitanti di Saloum, e Alioune tra gli abitanti di Louga. Tuttavia, la storiografia attribuisce l’arrivo dello sciismo all’immigrazione libanese incominciata a cavallo tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo, che instaurò il primo nocciolo di questa confessione a Dakar.
Analogamente alla Nigeria, anche in Senegal la Rivoluzione islamica iraniana del 1979 segna il punto di svolta che incrementerà radicalmente il numero dei fedeli che vedranno nella figura dell’ayatollah Khomeini un esempio da seguire. Queste dinamiche portarono nel 2000 all’istituzione a Dakar del Institute Mozdahir International, una ONG fondata dal leader sciita senegalese Cherif Mohamed Aly Aidara e che si prefigge obiettivi di proselitismo, attività di sostegno sanitario, economico e sociale alla popolazione.
Altre comunità sciite sono presenti anche in Tanzania, Sudan, Sudafrica, Zanzibar, Ghana, Congo ed in Camerun dove comincia a emergere una radicata presenza sciita ispirata alla Repubblica Islamica, la quale ricambia con sostegno economico.
Conclusioni
E’ importante notare come l’Africa catturi l’interesse di tantissimi attori istituzionali e, soprattutto, che l’Iran non è l’unica potenza regionale in competizione in Africa. Similmente, anche l’Egitto sta gradualmente cercando di imporre il proprio bacino di influenza. La Turchia sfrutta a proprio vantaggio le preoccupazioni di alcuni paesi africani per la crescente influenza e l’intervento dello stesso Iran. Israele ha fatto affidamento su un programma di cooperazione internazionale per realizzare la sua strategia di assistenza alla pianificazione agricola e cooperativa oltre che essere riuscito a costruire relazioni militari con più di 25 nazioni africane.
Questa competizione potrebbe davvero promuovere il multipolarismo in Africa fornendo alternative di scelta. La competizione per l’influenza aumenta le possibilità per i paesi africani di raggiungere un equilibrio tra i poteri regionali potendo così trarne il proprio beneficio.
(Massimiliano Nima Lacerra – Amistades)
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