Guerra alle locuste

di claudia

La corsa contro il tempo delle task force della Fao in Africa orientale. Nel nord del Kenya, squadre di studiosi e volontari lavorano senza sosta per evitare che la piaga delle locuste torni a danneggiare i prossimi raccolti. Ecco ciò che gli scienziati hanno scoperto sulla calamità che ha afflitto le campagne e cosa si sta facendo per impedire nuove ondate

di Angelo Ferrari

A Nairobi, nel quartier generale della Fao, gli uomini della task force anti-locuste osservano con apprensione i monitor dei radar e le immagini aeree inviate dai satelliti, in cerca di nuovi sciami. Nelle praterie gialle del Parco Samburu, svuotate di turisti per via del coronavirus, team di studiosi del ministero keniano dell’Agricoltura stanno catturando esemplari di locuste del deserto da studiare in laboratorio. Nella contea di Isiolo, squadre di volontari attrezzati con tute e mascherine uccidono con il veleno il maggior numero possibile di insetti. Più a nord, nella zona del Lago Turkana, gli aerei della Nazioni Unite spargono nuvole di insetticida.

È una battaglia condotta da terra e dall’aria quella ingaggiata dall’uomo contro una piaga biblica, incubo per contadini e comunità rurali, che è tornata a flagellare l’Africa orientale. Una lotta titanica e una battaglia contro il tempo. Le locuste hanno una forza distruttiva che è difficile contrastare, soprattutto neutralizzare. Nei mesi scorsi hanno devastato migliaia di chilometri quadrati di raccolto, riducendo milioni di persone alla fame.

L’incubo dei contadini

Le immagini dell’invasione, pubblicate in questo articolo, parlano da sé. Sciami enormi, di 70 miliardi di insetti volanti, si sono sviluppati in poche settimane coprendo ciascuno un’area media di 750 chilometri quadrati, più di quattro volte l’area urbana di Milano. Nei mesi autunnali le cavallette si sono spinte dalla Somalia e dall’Etiopia in Kenya e in Uganda. A Nairobi, il servizio di osservazione locuste della Fao ha individuato uno sciame lungo fino a 60 chilometri e largo 40: quasi come il Lussemburgo.

Lo scorso anno, mentre si pensava che il peggio fosse passato, miriadi di locuste hanno oscurato il cielo nel nord del Kenya accanendosi su quanto fosse commestibile. Uno scenario dell’orrore che le autorità sono impegnate a contrastare con tutti i mezzi a disposizione, umani e tecnologici. Nessuna maledizione divina, ma ragioni climatiche quelle che permettono a questi insetti di evolvere e unirsi in sciami giganteschi che si spostano a una velocità incredibile. Uno sciame può percorrere fino a cinquemila chilometri in dieci giorni.

Il Corno d’Africa si è trovato di fronte alla peggiore invasione di locuste del deserto dell’ultimo quarto di secolo. Venticinque milioni di persone sono minacciate dalla carestia. Le regioni aride e semiaride sono quelle più a rischio. Proprio dove la produttività agricola è bassa e le comunità vivono di sussistenza, quelle sono le aree più vulnerabili.

Shock climatico

«Un attacco delle locuste mette a rischio la sopravvivenza di persone che già faticano a resistere al clima ostile di quelle regioni», spiega l’esperto regionale della Fao, Sergio Innocente, chiarendo le condizioni che hanno portato all’ultima invasione. «Nel 2019 ci sono stati un paio di eventi climatici che hanno generato condizioni particolarmente favorevoli alla proliferazione di questi insetti. Un ciclone sulle coste dell’Oman, dove c’è stato un primo incremento della presenza delle locuste nella penisola araba, ma quello che è stato realmente un game changer sono state le precipitazioni abbondanti sulle coste del Corno d’Africa a dicembre 2019. Quella pioggia intensa e persistente ha portato nel Corno molta più umidità. Ciò ha creato condizioni ancora più favorevoli, sia per la migrazione degli sciami dalla penisola araba sia, anche, per la riproduzione degli sciami che erano entrati in Africa orientale già verso settembre. È da qui che siamo partiti, e poi ci siamo trovati a dicembre e gennaio con una situazione quasi incontenibile».

I cambiamenti climatici contribuiscono, allo svilupparsi della piaga locuste. Cambiamenti climatici a cui le popolazioni di questa regione dell’Africa contribuiscono ben poco, ma dei quali sono le principali vittime. Da vent’anni l’Africa orientale vive una situazione di “non normalità” dal punto di vista climatico. Siccità o abbondanza di piogge si sono susseguite con una velocità mai vista prima. Dall’inizio degli anni Duemila si è verificato uno shock climatico pressoché ogni anno, mentre prima l’intervallo era di 4-5 anni. Gli shock hanno “letteralmente” mandato a nozze le locuste, che hanno avuto più facilità ad aggregarsi.

Lo spettro della fame

Chiarisce l’esperto della Fao: «Da sole sono innocue, ma quando sprigionano il “feromone”, il loro desiderio di aggregazione e l’insaziabile fame diventano devastanti. Si coalizzano in uno scudo-sciame quasi inattaccabile, anche se passi avanti ne sono stati fatti». Stime preliminari dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura hanno fatto sapere che in dieci Paesi (Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Uganda, Tanzania e Yemen) sono state salvate circa 720.000 tonnellate di cereali, sufficienti per alimentare cinque milioni di persone l’anno, impedendo la diffusione delle locuste e danni a molti più ettari, mentre altre 350.000 famiglie pastorali sono state risparmiate dalla calamità.

Il direttore generale dalla Fao, Qu Dongyu, ha parlato di «significativi progressi» nelle operazioni contro le locuste del deserto in Africa orientale e in Yemen. Ha dichiarato in un rapporto che la Fao prosegue i suoi sforzi di sorveglianza e controllo, nonostante i vincoli derivanti dall’emergenza covid-19, sottolineando al contempo la necessità di fare di più per prevenire una crisi della sicurezza alimentare in vista della stagione delle piogge. «I risultati sono stati significativi, ma la battaglia è lunga e non è ancora finita», ha detto Qu Dongyu.

Prima degli sciami

Se è vero che passi avanti ne sono stati fatti e molti sciami stanno scomparendo – ma potrebbero tornare –, è altrettanto vero che milioni di locuste più giovani, di colore rosa, ancora senza ali ma già fameliche, stanno tornando ad aggregarsi nel nord del Kenya, pronte a scatenarsi. È su di loro che occorre intervenire. Bisogna impedire loro di svilupparsi e diventare adulte. La parola d’ordine è prevenzione.

Le tecniche per contrastare queste cavallette prevedono l’uso di pesticidi, che però non sono particolarmente efficaci e uccidono indiscriminatamente anche gli insetti “buoni”. Conoscere il meccanismo con cui le locuste si aggregano potrebbe darci una nuova arma per contrastarli. E la scienza è venuta in soccorso. Uno studio diffuso di recente dalla rivista Nature ne ha evidenziato il meccanismo di aggregazione – cioè quando cominciano a rappresentare un pericolo. La concentrazione di feromone, spiega lo studio, cresce all’aumentare del numero di individui e ha un effetto moltiplicatore. Ne bastano 4-5 che emettano questa sostanza nell’ambiente per attirarne insetti e così formare sciami di milioni e milioni di locuste fameliche, che dalla fase solitaria passano a quella gregaria.

«Avere scoperto il meccanismo che fa aggregare questi insetti – fanno sapere alla sede Fao di Nairobi – ci consentirà di creare sistemi di previsione più sofisticati e precisi per contrastare la formazione di sciami troppo numerosi, quindi estremamente dannosi». Gli uomini oggi impegnati a prelevare e studiare le locuste nel nord del Kenya hanno il primo obiettivo di interrompere il processo di trasformazione degli esemplari da giovani in adulti. «Dobbiamo intervenire in questa fase cruciale senza esitazione – spiegano gli studiosi degli sciami –. Dal nostro lavoro dipende la vita di milioni di persone».

(Angelo Ferrari)

Questo articolo è uscito sul numero 6/2020 della rivista. Per acquistare una copia della rivista, clicca qui, o visita l’e-shop

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