Quando le istituzioni dello stato non sono più in grado di garantire la sicurezza dei cittadini, in Nigeria, nel pieno di una crisi sociale, economica e sanitaria, intervengono le “milizie fai da te”, pattuglie di volontari si adoperano per affrontare l’insicurezza nei quartieri dove la polizia non va
di Angelo Ferrari
La crisi sociale, politica, economica e sanitaria si fa sempre più acuta in Nigeria. Sono diverse le cause che hanno fatto deflagrare un disagio sociale senza precedenti: la crisi del prezzo delle materie prime, petrolio in testa, la crescita del prezzo delle commodity alimentari. Fattori che fanno essere la Nigeria un gigante dai piedi di argilla. Ma c’è chi, come il premio Nobel per la letteratura, Wole Soynka parla di un paese a rischio implosione, secondo il quale l’unico futuro possibile per la Nigeria è una decentralizzazione del governo. “Se una nazione è in una scivolata suicida”, ha detto lo scrittore, “le persone che sentono di non meritare quel tipo di tuffo suicida hanno il diritto di dire che stanno scendendo da questo aereo prima che precipiti”.
E la gente ha protestato chiedendo più giustizia, lavoro, salute, cibo e sicurezza. Le istituzioni dello stato non sono più garanti della sicurezza dei cittadini, la polizia, ormai, è diventata quasi un nemico, che reprime ogni tipo di protesta e di legittima aspettativa. Le forze dell’ordine, in virtù della divisa e dell’arma che portano, si sentono autorizzate a vessare chiunque, anche con piccoli atti di corruzione e intimidazione. I ranghi bassi della polizia non se la passano meglio della popolazione. Sono malpagati, sottopagati, e ricevono lo stipendio quando capita. La divisa è un’occasione per portare a casa da mangiare alla famiglia, vessando i loro simili che se la passano come loro. Che la sicurezza – grazie al proliferare di bande criminali di giovani che non hanno futuro – sia un problema endemico in Nigeria, è fuori di dubbio. Tanto che la “sicurezza fai da te”, in assenza di una risposta decisa dello Stato, sta diventando l’unica alternativa possibile. Anche in forme creative.
Prince Wiro, non ci sta nel vedere il suo quartiere povero di Port-Harcourt, Afikpo, sprofondare nell’insicurezza, con i suoi abitanti vivere nella paura. E allora cosa fa? Si è inventato pattuglie di volontari per affrontare l’insicurezza in un quartiere dove la polizia non va, perché anch’essa ha paura. Due anni di lavoro e la criminalità ha segnato il passo, in particolare la violenza e gli abusi sulle donne e le ragazze. Nelle comunità povere come quella di Afikpo l’impunità è all’ordine del giorno, ma Prince Wiro sta facendo di tutto per garantire che i responsabili delle violenze, soprattutto sulle donne, siano perseguiti dalle autorità. Non è un compito facile. Prima che il suo gruppo iniziasse a pattugliare le vie del quartiere – dove è difficile orientarsi tra le fogne a cielo aperto e i secchi di bucato messi davanti a ogni casa – la situazione era così grave che le donne non uscivano di notte, autoimponendosi il coprifuoco. Durante il giorno, Price Wiro lavora come giornalista e nel tempo libero assiste diverse comunità con la sua associazione, il Center for Basic Rights Protection and Accountability Campaing, e dal settembre del 2020 è riuscito a risolvere almeno 18 casi, la maggior parte dei quali riguardava violenze sessuali contro donne e ragazze. “La situazione, oggi, è molto migliorata. Prima avevamo pochissime organizzazioni che prestavano attenzione ai diritti delle donne”.
Una giustizia fai da te per necessità. I quartieri come quello di Afikpo, un labirinto di blocchi di cemento e tetti di lamiera – che poi sono case – sono abbandonati dalle autorità locali, così ci si deve arrangiare. Blessing Amachree, anche lui residenze in questo quartiere di Port-Harcourt, racconta che fino a poco tempo fa c’era una tale mancanza di sicurezza che le stesse donne si sono imposte il coprifuoco alle 18, ma altri hanno deciso di abbandonare il quartiere, tanto la situazione era diventata invivibile. “Anche mio figlio, il mio unico figlio”, spiega Amachree, “se ne è andato perché non poteva più restare in un luogo dove incidenti, battaglie e sparatorie erano all’ordine del giorno”. Ecco perché – nel pieno dell’esplosione di violenza – uno dei leader della comunità, Dennison Amachree, si è rivolto a Prince Wiro. Proprio da questo primo contatto è nata l’idea di creare un gruppo di autodifesa con volontari locali. Una milizia, che a sede a Diobu, nella parte alta di Afikpo quella che si affaccia sui pericolosi quartieri del mare, viene finanziata dagli stessi abitanti. La pattuglia “cerca di ridurre la criminalità, e lavora in sinergia con la polizia nigeriana e le altre agenzie”, spiega il giornalista, anche se sul posto le autorità non si vedono proprio, anche perché “quando la polizia vuole andare in certe zone, ci chiama e noi andiamo con loro. Conosciamo i posti molto meglio di loro”. Il gruppo di autodifesa, che indossa polo nere con cucito sopra il motto “operazione senza paura”, sono guidati dal “Comandante” Prince Tijani, proprietario di un bar locale, che assicura che i suoi uomini non portano con sé armi da fuoco, ma solo machete per proteggersi.
La polizia, in questo quartiere, arriva sempre dopo, a lavoro fatto. Nella gran parte delle metropoli nigeriane, invece, arriva, non indaga, arresta indiscriminatamente, picchia, estorce denaro per ogni cosa, anche la più banale. I criminali, invece, spesso la fanno franca e si capisce, allora, perché nascono questi gruppi di autodifesa. Ma c’è di più. L’esercito nigeriano ha dovuto chiedere ai residenti dello Stato di Plateau di ignorare l’appello lanciato dall’Assemblea di Stato ai cittadini affinché imbraccino le armi per difendersi dai banditi e dai terroristi. Se anche dei parlamentari chiedono ai cittadini di armarsi e difendersi, si capisce molto bene lo stato di degrado in cui versa l’intera Nigeria.