La favola vera di una ragazza italiana con un passato terrificante che ha saputo uscire dall’inferno e che oggi fa la volontaria in Africa tra i bambini di strada. «Nei loro occhi rivedo gli stessi incubi che ho vissuto quando ero piccola»
di Marco Trovato
«I bambini di strada hanno cicatrici invisibili, il loro sguardo è una maschera che nasconde sofferenze terribili… Io quel dolore lo conosco fin troppo bene». Melissa ha la pelle color caramello, una cascata di capelli neri sulle spalle, un sorriso sfavillante, due occhi profondi come l’abisso che hanno visto.
Nata in Colombia venticinque anni fa, è cresciuta sulle strade di Girardot e Bogotá. «Mio padre, invalido per un ictus, è morto troppo presto», si confida. «Mia madre beveva e si prostituiva».
Parla come stesse raccontando la trama di un film. Invece è la sua vita e quella dei suoi quattro fratelli. «Eravamo lasciati soli, la strada era il posto della libertà. Non avevamo regole né orari. I servizi sociali ci aprirono le porte dell’orfanotrofio. Poi finimmo in una famiglia affidataria che si prese cura di noi a suon di insulti e cinghiate».
L’incubo finì con l’adozione da parte di una coppia italiana. «Avevo nove anni quando partii per Milano assieme a due fratelli», ricorda. «Ero frastornata, intimorita, non capivo cosa stesse accadendo».
C’è voluto molto tempo per scrollarsi di dosso l’orrore e ritrovare la voglia di iniziare una nuova vita in Italia. «L’adozione è una scommessa», riflette Melissa a voce alta. «Quasi un azzardo quando si viene sradicati dal proprio mondo e si finisce in altri continenti. Nel mio caso la scommessa è stata vinta. Siamo stati accolti in una famiglia che ci ha permesso di avere accesso a nuove possibilità di crescita… Ho recuperato il sorriso e la fiducia nel futuro… Ora voglio aiutare chi non ha avuto la mia stessa fortuna: per questo ho studiato per diventare assistente sociale e sono partita per l’Africa».
Melissa sta trascorrendo un anno di volontariato in Malawi, nell’ambito del Servizio Civile Universale. A Balaka, cittadina rurale del sud del Paese, si prende cura di decine di street children ospitati nella casa famiglia di Tigawane (in lingua locale significa “condividiamo”) gestita da Orizzonte Malawi Onlus. I piccoli ospiti sono in gran parte orfani o bimbi abbandonati dai genitori. A volte scappano da famiglie disastrate e violente.
«Nei loro occhi rivedo gli stessi tormenti che ho vissuto quando ero una bambina di strada: i soprusi, le umiliazioni, i morsi della fame, la paura del buio». Melissa ricorda tutto della sua infanzia negata: le giornate passate sui marciapiedi con gli abiti laceri in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti, l’odore d’alcol nei bar frequentati dalla madre, i clienti con cui si appartava in stanze luride, la gentaglia incontrata nei vicoli dove si sniffava colla, le retate della polizia, le notti interminabili e piene di insidie.
«I fantasmi del passato tornano ogni tanto a farsi vivi», dice la ragazza con un filo di voce che si incrina e poi si spezza. Un velo sembra averle spento la luce degli occhi. «Le cose peggiori pensi di averle rimosse dalla memoria, ma sono impossibili da cancellare», riprende a parlare. «Se sono sopravvissuta è solo grazie al mio fratello maggiore che mi ha sempre protetta da chi cercava di farmi del male. Ricordo quella volta che fummo scoperti mentre tentavamo di rubare ferraglia in un capannone e il proprietario non esitò a spararci con la sua pistola. Avevamo undici anni in due. Per fortuna fummo più veloci delle pallottole».
Ancora oggi a Bogotá ci sono migliaia di gamines, minori che hanno per casa la strada. Vivono di espedienti, accattonaggio, piccoli furti, prostituzione. «Prima o poi tornerò in Colombia per aiutarli». Per il momento c’è l’Africa, dove la piaga dei bambini di strada sta esplodendo con il disagio sociale delle sue città. «Voglio vivere questa esperienza di volontariato in Malawi come un’occasione di riscatto e di formazione», dice. «I bimbi e le bambine che raccogliamo sulla strada hanno storie tremende, celate da sorrisi pieni di malinconia».
Le giornate nella casa-famiglia sono scandite da pranzi, giochi, disegni, libri, film: cose miracolose per un bambino di strada. «Certi piccoli ospiti capiscono che possono fidarsi di me e si confidano», dice Melissa. «È straziante ascoltare i loro racconti. A volte fatico a trovare le parole e li abbraccio». Per infondere calore, comprensione, forza… e speranza di poter uscire dall’inferno. «Io sono la prova vivente che si può fare».