di Luigi Limone – Centro studi AMIStaDeS
Con un reddito annuo pro capite di 666 dollari, l’Uganda ospita più rifugiati di qualsiasi altro Paese in Africa e ha la terza più grande popolazione di rifugiati di qualsiasi altra nazione al mondo, dopo Turchia e Pakistan. Oltre 1 milione dei suoi stimati 1,5 milioni di rifugiati sono arrivati negli ultimi due anni, e altre centinaia arrivano ogni giorno. Nonostante le poche risorse da offrire, l’Uganda rappresenta un caso di studio per politiche generose di accoglienza e inclusione.
Il più grande Paese ospitante in Africa
A seguito di un accordo con gli Stati Uniti concluso ad agosto scorso, il governo di Yoweri Museveni avrebbe dato la disponibilità a dare rifugio temporaneo a circa duemila profughi afghani in fuga dal proprio Paese, fino al raggiungimento delle loro destinazioni finali. Gli arrivi dei primi afghani in territorio ugandese hanno riacceso i riflettori sul modello di accoglienza dell’Uganda.
Il Paese ha una lunga storia di accoglienza di rifugiati, iniziata nei primi anni ‘40 quando il governo aprì le porte ai rifugiati polacchi in fuga dall’Europa occupata dai nazisti. L’insediamento per rifugiati di Nakivale, creato nel 1959, nel sud-ovest dell’Uganda, poco lontano dal confine con la Tanzania, è il più antico campo per rifugiati in Africa.
A metà degli anni ’50 quasi 80.000 rifugiati sudanesi, in fuga dalla prima guerra civile, cercarono rifugio in Uganda. Furono solo la prima di molte ondate di rifugiati provenienti da diversi Paesi vicini. Da allora l’Uganda ha ospitato un numero significativo di persone in fuga, la maggior parte delle quali proviene dal Sud Sudan, dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC), dal Burundi e dalla Somalia.
La popolazione di rifugiati in Uganda è senza dubbio un prodotto del suo tumultuoso vicinato, con la guerra civile in Sudan e il conflitto etnico nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) che hanno costretto alla fuga centinaia di migliaia di persone negli ultimi anni. Oggi, quasi 1,5 milioni di rifugiati vivono in Uganda, rendendolo il primo Paese di accoglienza in Africa e uno dei primi cinque al mondo.
La politica delle “porte aperte”
Fin dai primi anni ’60, il governo dell’Uganda ha mantenuto un ambiente politico accogliente per le persone in cerca di protezione internazionale. Mentre i rifugiati fuggivano dagli scontri delle guerre d’indipendenza, dai conflitti per procura della Guerra Fredda e dalle violenze etniche nella regione dei Grandi Laghi e nel Corno d’Africa, l’Uganda lanciava una politica delle “porte aperte” garantendo la sistemazione delle persone in fuga nelle aree sottopopolate del Paese. Il numero relativamente basso di afflussi ha fatto sì che ci fosse sufficiente terra coltivabile per ospitare i rifugiati e creare opportunità sostenibili.
Nel corso degli anni, l’Uganda ha poi continuato a mantenere un orientamento di apertura verso i rifugiati. Tale approccio fonda i suoi principi sulla tradizionale ospitalità africana e sul non respingere nessuno, soprattutto chi fugge in cerca di protezione e sicurezza. La lunga politica delle “porte aperte” ha portato benefici sia politici che finanziari, con centinaia di milioni di fondi dei donatori giunti ogni anno per progetti umanitari e di sviluppo. I fondi si rivolgono sia ai rifugiati che alle comunità locali. Mentre il Kenya, per esempio, ha ricevuto 200 milioni di euro in aiuti umanitari dall’Unione Europea (UE) dal 2012, l’Uganda ha ricevuto altrettanti fondi negli ultimi quattro anni e mezzo.
Dal punto di vista legislativo, la politica delle “porte aperte” è stata sostenuta da alcune tappe fondamentali. Innanzitutto, l’Uganda è firmataria dei principali strumenti legislativi internazionali per la protezione dei rifugiati, tra cui la Convenzione sui rifugiati del 1951, il Protocollo del 1967 e la Convenzione sui rifugiati dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) del 1969. Inoltre, più di recente, il Paese ha adottato due testi legislativi – la legge sui rifugiati del 2006 e il regolamento sui rifugiati del 2010 – che riflettono l’impegno del governo verso gli attuali standard internazionali di protezione dei rifugiati.
La strategia di autosufficienza
Le politiche ugandesi, attuate attraverso il Dipartimento per i Rifugiati dell’Ufficio del Primo Ministro, hanno posto l’obiettivo dell’autosufficienza al centro del sistema di accoglienza. L’idea è incarnata nella cosiddetta “Self-Reliance Strategy” (SRS, Strategia di autosufficienza). Come parte di questa strategia, i rifugiati in Uganda godono del diritto al lavoro, della libertà di movimento all’interno del Paese, dell’accesso ai servizi di base e del diritto di vivere nelle comunità locali così come in insediamenti definiti. All’interno degli insediamenti assegnati ai rifugiati, vengono concessi anche piccoli appezzamenti di terreno a ogni famiglia, allo scopo di facilitare un approccio basato sullo sviluppo per l’autosufficienza e l’autosostentamento.
Nonostante i cambiamenti ai vertici politici del Paese, il governo ha sempre sostenuto la pratica di promuovere l’autosufficienza dei rifugiati. Più recentemente, il quadro strategico del 2016 per l’empowerment dei rifugiati e delle popolazioni ospitanti (ReHoPE) ha aggiornato la SRS, delineando un modello per sostenere la resilienza e l’autosufficienza sia dei rifugiati che delle comunità ospitanti, integrando i rifugiati nei piani di sviluppo nazionali.
Sfide future
Il numero di rifugiati in Uganda continua a crescere e attualmente il Paese ospita il numero più alto di persone in cerca di protezione di tutta la sua storia di accoglienza. Le capacità di accoglienza iniziano a essere sotto stress e potrebbero mettere a dura prova le risorse limitate del Paese. I molti punti di pressione del sistema rischiano di dare luogo a profonde fratture, con conseguenze soprattutto per le fasce più povere della popolazione locale.
Inoltre, sebbene il panorama politico sia di per sé generoso, le condizioni per molti rifugiati rimangono cupe, segnate da risorse inadeguate, condizioni idriche e igienico-sanitarie scadenti e una carenza di cibo tra i tagli ai programmi nutrizionali umanitari e la mancanza di sostegno da parte dei donatori internazionali.
Nonostante l’esempio di successo, gli occhi della comunità internazionale e degli altri Paesi che ospitano i rifugiati sono dunque puntati sull’Uganda per verificare che l’impareggiabile modello di accoglienza dei rifugiati costruito degli anni possa effettivamente continuare a reggere.
Fonti:
Evan Easton-Calabria, “Uganda has a remarkable history of hosting refugees, but its efforts are underfunded”, The Conversation, August 2021, https://theconversation.com/uganda-has-a-remarkable-history-of-hosting-refugees-but-its-efforts-are-underfunded-166706
Naohiko Omata, “Uganda’s Refugee Policy: Recent Trends and Challenges”, Bundeszentrale fur politiche Buildung, April 2020, https://www.bpb.de/themen/migration-integration/laenderprofile/english-version-country-profiles/305651/uganda-s-refugee-policy-recent-trends-and-challenges/#node-content-title-2
Soulaiman Momodu, “Uganda stands out in refugees hospitality”, Africa Renewal, https://www.un.org/africarenewal/magazine/december-2018-march-2019/uganda-stands-out-refugees-hospitality
Tessa Coggio, “Can Uganda’s Breakthrough Refugee-Hosting Model Be Sustained?”, Migration Policy Institute, October 2018, https://www.migrationpolicy.org/article/can-ugandas-breakthrough-refugee-hosting-model-be-sustained