Africa, migrazione circolare contro la fuga dei cervelli

di claudia

di Claudia Volonterio

Il cosiddetto “brain drain”, o fuga dei cervelli è un fenomeno mondiale che colpisce in prevalenza i Paesi in via di sviluppo. Nel continente, secondo le stime dell’Unione Africana, sono circa settantamila i professionisti che ogni anno lasciano l’Africa per vivere e lavorare altrove. A ciò si somma una gran parte di giovani che decidono di formarsi all’estero ed esprimono una riluttanza nel ritornare nel proprio paese d’orgine.

Questa fuga comporta delle perdite di capitale umano più che significative, in quanto la maggioranza di coloro che emigrano possiedono competenze e qualifiche che, se valorizzate, potrebbero risanare in parte il divario con i Paesi più ricchi. “La migrazione di lavoratori giovani e istruiti mette a dura prova paesi dove il capitale umano è già scarso”. Se si prende in analisi in particolare l’Africa subsahariana, “la concentrazione di migranti tra coloro che hanno un’istruzione è più alta che in altre economie in via di sviluppo. La migrazione di lavoratori altamente qualificati comporta un costo sociale elevato, con perdite di benessere oltre a quelle economiche”, si legge in una nota del World Economic Outlook

Se si guarda alle previsioni stilate dal Fondo monetario internazionale (FMI), la migrazione di lavoratori giovani e in possesso di un’istruzione elevata potrebbe riguardare 34 milioni di persone entro il 2050, un balzo notevole dai “soli” sette milioni del 2013. Un trend in continua salita che non può non far riflettere.

Il fatto che una porzione così ampia di giovani sia disposta a lasciare il proprio paese di origine è una conseguenza di politiche sociali non adeguate, mancanza di opportunità e di strumenti che consentano loro di raggiungere traguardi lavorativi o un pieno sviluppo delle proprie attitudini al pari dei loro coetanei in Europa. Stando a queste premesse sembra che la parola futuro per un giovane africano faccia coppia con migrazione. Ma, come ha sottolineato Akinwumi Adesina, il presidente della Banca Africana, il futuro dei giovani dovrebbe risiedere invece “in un’Africa prospera”.

A questo proposito si sono espressi, in una dichiarazione conclusiva in seguito all’ultimo vertice Europa – Africa, l‘All Africa Student Union (AASU), l’European student Union (ESU) e il Global Sudent Forum (GSF). Questa rappresentanza di studenti ha sottolineato l’importanza di una mobilità internazionale, una relazione di reciproco scambio tra Europa e Africa, il più possibile lontana da logiche neocoloniali, che produca una circolazione dei saperi e delle persone, più che delle fughe di cervelli. Questa può essere messa in atto con adeguati partenariati che si stanno piano piano diffondendo nel corso degli anni.

Come emerge da un’analisi pubblicata sul sito dell’Unesco, un programma di mobilità accademica dovrebbe partire con l’inclusione nelle università africane di un tempo da trascorrere all’estero. Uno scambio, che potremmo definire “migrazione circolare”, che può portare benefici sia al paese ospitante che a quello di origine. Una soluzione che si inserisce pienamente nel contesto di globalizzazione nel quale viviamo.

Come si evince dalla dichiarazione degli studenti a conclusione del vertice, lo scambio tra Europa ed Africa nei termini di un rapporto di cooperazione può avvenire solo in seguito a un’adeguata conoscenza della storia e della cultura e delle lingue africane in Europa. Ogni sforzo a favore della mobilità per soppiantare la fuga rischia altrimenti di fallire.

Esempi di circolazione dei cervelli si evincono da collaborazioni universitarie tra paesi della diaspora e paesi d’origine. I migliori risultati di questo tipo di scambio si riscontrano in particolare in ambito scientifico, con associazioni di medici o centri di ricerca che fanno da ponte con programmi formativi e alleanze tra paesi diversi. Un esempio è l’Université des Montagnes in Camerun, che ha stretto una collaborazione con due centri di eccellenza italiana, il Cardiologico Monzino di Milano e l’Università di Udine e con due centri francesi, l’Ospedale universitario di Digione e l’Università di Parigi.

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