Ritratto di Alain Gomis, regista francese di origine senegalese di molteplici documentari, tra cui “Rewind and Play” di cui abbiamo parlato recentemente. Con alle spalle un interessante percorso artistico, la carriera di Alain è in ascesa, conosciamolo meglio.
di Annamaria Gallone
“Forse fare film è un modo per riconciliarmi con il mondo. È condividere con il pubblico i momenti della nostra debolezza comune, ciò che ci rende belli e possibilmente amati. Cerchiamo di stare insieme per 90 minuti, al di là delle nostre differenze, e sentire ciò che non si può dire a parole. E l’Africa è il luogo stesso di ciò che questo mondo rappresenta: amore, paura, lotta a favore o contro, speranza e rassegnazione… bellezza e bruttezza, mistero e ragione, filosofia e omicidio”. A dirlo è Alain Gomis, del cui ultimo film vi ho parlato qualche tempo fa, con la promessa di parlarvi più diffusamente di questo regista, uno dei più interessanti dell’area sub sahariana, che ha aperto nuovi orizzonti nel cinema africano contemporaneo.
Alain Gomis nasce in Francia nel 1972 da padre senegalese e madre francese. Studia storia dell’arte e del cinema alla Sorbona. Dopo i suoi primi cortometraggi, Tourbillons e Petite Lumière, presentati in festival internazionali, dirige nel 2000 il suo primo lungometraggio, L’Afrance, che vince il Pardo d’argento del Festival di Locarno e il premio per un’opera prima al Fespaco ((il più grande Festival nel mondo del cinema africano e della diaspora, che si tiene ogni due anni a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso). Un coraggioso film di carattere sociale sul bisogno d’integrazione e ricerca d’identità che affronta il dramma degli spazi, fuori e dentro di sé e il tema dello sradicamento sia a livello esistenziale che emotivo. Dice Alain “”Esilio significa prendere le distanze: all’estero ci si confronta con sé stessi. Chi siamo e quale dei nostri pensieri può resistere all’invadenza dell’altro mondo? Probabilmente solo quello che è veramente la nostra essenza”. Già nel primo anno dall’uscita, è stato selezionato in 25 Festival. E poi arriva Andalucia nel 2007, selezionato ai Venise Days, che ha come protagonista un trentenne dinamico ma goffo, in cerca di identità in un mondo nel quale non riesce a trovare un posto, seguita da Tey(Oggi)) con Saul Williams, vincitore nel 2013 dell’Étalon d’or alla Fespaco. Il film è la storia di Satché, un giovane uomo senegalese arrivato dagli States conscio che in quel giorno deve morire. Accetta così il proprio destino imminente e compie un viaggio tra i luoghi della sua infanzia, attraverso il suo quartiere e la città, rivivendo i suoi ricordi: metafora impressionante e originalissima del Senegal d’oggi. Nel 2017, Félicité, il suo quarto lungometraggio, vince il Gran Premio della Giuria alla Berlinale e nuovamente l’Étalon d’or al Fespaco. Candidato agli Oscar, il film rappresenta il Senegal, come miglior film di lingua straniera. Félicité è una donna orgogliosa e indipendente che lavora come cantante in un bar di Kinshasa, una donna carnale dalla voce meravigliosa che il suo pubblico adora. Un giorno il figlio di Félicité ha un terribile incidente e la donna si batte disperata, pronta a tutto, per trovare i soldi per il suo intervento. Un film intenso ed emozionante, un’epopea dell’amore materno priva di ogni compiacimento retorico, che conferma la sensibilità e insieme l’estetica altamente sperimentale dell’autore.
L’ultimo film è REWIND AND PLAY, selezionato alla Berlinale 2022, di cui abbiamo già avuto modo di parlare: un originale montaggio delle immagini di repertorio della visita a Parigi, nel 1969, del talentuoso maestro del jazz Thelonious Monk. Un altro esempio di spaesamento, come in tutti i film di Alain, nei quali i protagonisti incontrano difficoltà ad adattarsi a un mondo che sembra non accettarli.
Nel 2019 il regista realizza anche il suo sogno di creare un centro per il cinema a Dakar, il Yennenga Center, con un ambizioso programma educativo per formare i futuri registi. “L’idea è quella di costruire un laboratorio, un luogo di scambio con registi, tecnici, scrittori, critici, da ogni dove- dice Gomis- Si tratta di fare film insieme, condividere le nostre esperienze e aiutare a creare una nuova generazione. Il cinema africano ha bisogno di film, il cinema indipendente ha bisogno di esperienze incrociate. Si tratta anche di provare a riaprire un cinema a Dakar, come un centro cinematografico con una cineteca. Non puoi imparare a fare film, ma devi essere in grado di vedere i film e sicuramente hai bisogno di sale cinematografiche per proiettare i tuoi film”.
Ho voluto parlarvi di questo regista che forse alcuni di voi conoscono poiché ha regolarmente partecipato con i suoi film al Fescaaal di Milano, ma che probabilmente molti di voi non conoscono, perché è colposo che i suoi film non siano mai stati proiettati nelle sale italiane o programmati sui nostri canali. Questo accade purtroppo per molti altri registi, ma ci tenevo a parlarvi di Alain, che è anche una bellissima persona, amichevole e aperto verso tutti, modesto nonostante tutti i suoi successi e anche molto affascinante, il che non guasta.