di Céline Camoin
Arriverà presto la democrazia in Ciad? Domanda lecita, a un anno dall’uccisione del presidente Idriss Deby Itno che ricorre oggi. Se da un lato il governo transitorio e il Consiglio militare di transizione danno segnali di grande apertura per porre le basi a una necessaria riconciliazione nazionale prima di andare ad elezioni libere e democratiche, c’è chi ricorda che gli attuali vertici sono giunti al potere attraverso quello che definiscono un vero e proprio colpo di Stato, anche macchiato di sangue.
Proprio oggi, in occasione del primo anniversario della scomparsa del ‘presidente guerriero’ Deby padre, rifletteranno sulla questione esponenti della società civile, in particolare il movimento Tournons la page (Tlp, un movimento internazionale per l’alternanza democratica) e l’ong Agir ensemble pour les droits humains organizzando un webinar intitolato “Ciad, repressione ereditaria: quando arriverà la democrazia?”. L’obiettivo è di fare il punto sulla situazione politica, sulla mancanza di democrazia e sulla “repressione sistematica”, al fine di trarre insegnamenti e formulare raccomandazioni nel quadro della transizione democratica inizialmente prevista dal Consiglio militare di transizione per ottobre 2022.
Alla morte di Idriss Deby Itno, a seguito di ferite riportare sul fronte di battaglia contro i ribelli del Fronte per l’Alternanza e la concordia in Ciad (Fact), il potere è passato nelle mani del figlio Mahamat Idriss Deby, detto Kaka, il quale ha annunciato la sospensione della Costituzione e delle istituzioni statali per un periodo di transizione di 18 mesi.
Un rapporto di Tlp e Agir Ensemble ha calcolato che in reazione alle manifestazioni contrarie a questo “colpo di Stato”, è stata attuata una violenta repressione che ha provocato almeno 20 morti, 152 feriti e 849 arresti tra il 6 febbraio e l’11 ottobre 2021. Le prigioni del Ciad dove sono stati detenuti i manifestanti offrono pessime condizioni di detenzione e vi sono denunciati atti di tortura.
Nonostante la Costituzione del Ciad preveda procedure da seguire in caso di morte del capo dello Stato, tali procedure non sono state seguite. Haroun Kabadi, allora presidente dell’Assemblea nazionale, rinunciò al ruolo che gli spettava e si è successivamente ritrovato presidente del parlamento ad interim, ovvero il Consiglio nazionale di transizione. Intervistato in questi giorni da Rfi, Kabadi ha spiegato di aver rifiutato di guidare lo Stato al posto del presidente defunto “dopo riflessione, ho pensato che la mia presenza come presidente ad interim della Repubblica non potesse davvero permettere di trovare la stabilità, la sicurezza e la pace che abbiamo oggi. Perché eravamo in guerra e solo i militari possono fare questa guerra. Le truppe erano sul terreno. (…) Ho pensato che fosse meglio istituire il Consiglio militare di transizione ed è quello che ho deciso. Le persone possono essere d’accordo o in disaccordo, ma questa è una mia decisione”, ha affermato.
Dato il contesto particolare della morte improvvisa del presidente, che era considerato un pilastro per la sicurezza nella regione del Sahel, la comunità internazionale, Francia in primis, ha accettato l’avvicendamento al potere senza critiche nei confronti di N’Djamena, anzi, garantendo il massimo sostegno. Ora non è chiaro se sarà possibile organizzare elezioni ad ottobre come previsto dal calendario iniziale della transizione, e sempre di più si fa strada l’ipotesi di una proroga. Resta inoltre incerta la possibile candidatura o meno di Mahamat Deby alla presidenza. Questo è uno dei motivi delle riserve della piattaforma di opposizione Wakit Tamma sulla partecipazione al dialogo nazionale che dovrebbe tenersi a maggio.