Il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ha parlato per la prima volta della possibilità di negoziati di pace con i ribelli tigrini, con i quali il governo federale è in guerra da 19 mesi.
Negando le notizie secondo le quali siano già in corso colloqui segreti con il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), Abiy ha affermato che il governo ha creato un comitato per favorire lo svolgimento di negoziati. “Non è così semplice condurre i negoziati. C’è molto lavoro da fare, a questo scopo è stato istituito un comitato apposito”, ha detto Abiy ai parlamentari etiopi. Il comitato sarà guidato dal vice primo ministro e ministro degli Esteri, Demeke Mekonen, che redigerà un rapporto nel quale saranno messe nero su bianco le condizioni preliminari per aprire un confronto.
Questa apertura fa seguito alla dichiarazione, annunciata a marzo dal governo, di “una tregua umanitaria a tempo indeterminato”. Tregua che ha aperto la strada all’arrivo nella regione del Tigray martoriata dalla guerra di cibo, farmaci e carburante. Il conflitto, secondo le Nazioni Unite, ha portato centinaia di migliaia di persone sull’orlo della carestia, ha costretto più di due milioni di sfollati e ha lasciato più di nove milioni persone bisognose di aiuti alimentari.
“La pace non è qualcosa che nascondi – ha detto Abiy ai deputati in risposta ai rumorosi colloqui con i ribelli -. Stiamo dicendo che vogliamo la pace. Ciò non significa che faremo negoziati segreti. I negoziati segreti non hanno sostanza”.
In una lettera aperta pubblicata ieri, ma datata lunedì, il Tplf si è detto pronto a prendere parte a “un processo di pace credibile, imparziale e basato sui principi condivisi”. Ma si è scagliato contro gli sforzi di mediazione guidati dall’inviato dell’Unione africana Olusegun Obasanjo, l’ex presidente nigeriano. “La vicinanza dell’Alto Rappresentante (Obasanjo) al primo ministro etiope non è passata inosservata al nostro popolo”, si legge nella lettera del leader del Tplf, Debretsion Gebremichael, che denuncia anche “il silenzio dell’Unione Africana sulla guerra e le atrocità perpetrato dalle forze schierate contro di noi”.
Per la prima volta ha anche fatto riferimento pubblicamente a un’intesa tra Macallè e Addis Abeba sulla possibilità da incontrarsi a Nairobi per i negoziati ospitati dal presidente keniota, Uhuru Kenyatta, il cui governo è stato attivo negli sforzi per raggiungere la pace in Etiopia. La spinosa questione del Tigray occidentale – rivendicata sia dalla regione Amhara sia dal Tigray – è tra le questioni che dovranno essere affrontate nel negoziato.
Il Tplf ha ripetutamente affermato che il Tigray occidentale, che è stato occupato dalle forze dell’Amhara dallo scoppio della guerra nel novembre 2020, è una parte “non negoziabile” del Tigray. “Qualsiasi soluzione duratura dell’attuale crisi deve essere basata sul ristabilimento dello status quo ante prebellico”, ha affermato la scorsa settimana il Tplf, chiedendo “il ritiro completo e verificato di tutte le forze d’invasione da ogni centimetro quadrato del territorio tigrino”. Il Tplf ha già chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di garantire il ritiro delle forze amhara ed eritree dalla regione.
Il conflitto è iniziato nel novembre 2020 quando il governo ha inviato truppe federali nel Tigray per rovesciare il Tplf, l’ex partito al governo della regione. Dopo le prime fasi in cui i miliziani tigrini sono stati sopraffatti, il Tplf ha condotto una controffensiva che l’ha portato alle porte di Addis Abeba e a espandersi nelle regioni vicine di Afar e Amhara.
I combattimenti sono stati accompagnati da resoconti di stupri di massa e massacri, con entrambe le parti accusate di violazioni dei diritti umani. Anche la situazione umanitaria nel Tigray si è progressivamente aggravata, con la regione ancora priva di servizi essenziali come elettricità, comunicazioni e banche.
Le Nazioni Unite hanno dichiarato che 65.500 tonnellate di cibo sono state spedite a Macallè tra il 1° aprile e il 6 giugno. “Nonostante questi progressi positivi, permangono notevoli lacune per far fronte alle vaste esigenze umanitarie nel Tigray”, è scritto in una nota dell’Onu.