Ha interpretato il ruolo di un bracconiere senza scrupoli nella docufiction “Poacher”, che ha fatto conoscere i retroscena della savana keniota sulla piattaforma Netflix, ma Maina Olwenya, scomparso improvvisamente per un malore a soli 34 anni, è stato molto di più: un promettentissimo giovane protagonista del primo film a far conoscere la nuova cinematografia keniana, “Nairobi Half Life”, che ha concorso all’Academy Awards di Hollywood (l’anticamera degli Oscar) come miglior film straniero e al Festival di Berlino nel 2013, e un punto di riferimento per lungometraggi importanti che hanno trattato temi sociali, come “Stories of our lives” che scatenò una rivoluzione mediatica e non solo per aver portato a galla le tematiche del diffusissimo ambito LGTBQIA+.
Maina era un professionista disponibile e preparato che ha contribuito, purtroppo per un tempo maledettamente breve, a far crescere l’ambiente della recitazione, anche teatrale, a Nairobi e in Kenya. Anche eticamente oltre che professionalmente.
“Il problema è che in Kenya la gente equipara il successo attoriale al denaro, cosa che non dovrebbe accadere – ci disse una volta – Gli artisti dovrebbero guadagnare abbastanza per stare bene, ma la soddisfazione nel proprio lavoro è ciò che conta di più”.