Isis, una vecchia/nuova alternativa alla povertà in Africa occidentale

di AFRICA

di Andrea Spinelli Barrile

Mentre i paesi dell’Africa occidentale combattono contro la crisi economica derivante dal conflitto tra Russia e Ucraina e che poggia sulle macerie della pandemia, mentre le società civili cercano di incontrarsi per riconciliarsi, come in Burkina Faso e in Mali, mentre i governi della subregione sono tutti molto preoccupati “dall’epidemia di colpi di Stato” e dal deteriorarsi dell’insicurezza, i gruppi islamisti radicali dilagano nel Sahel.

L’Africa occidentale, e non solo, è oggi terreno di crescita provilegiato per quello che un tempo era “il Califfato nero” in Siria e Iraq, l’Isis. Oggi la centrale jihadista si estende, ramificandosi con forza, in Africa, dove le sue filiali promuovono un “nuovo marchio” micidiale e fiorente: lo Stato islamico ha annunciato l’istituzione di due nuove “province ufficiali” (in arabo wilaya), a marzo nel Sahel e a maggio in Mozambico. Su al-Naba, pubblicazione settimanale dell’Isis, un editoriale dello scorso giugno ha inviato i musulmani africani ad unirsi alla guerra di purificazione del continente ed ha incoraggiato i musulmani di tutto il mondo ad andare in Africa per sostenere la lotta dei fratelli africani nel Sahel.

Se da un lato l’Isis ammette la sconfitta in Siria e Iraq, di fatto non indicando più l’obiettivo dell’istituzione di un Califfato nel Levante, dall’altro il fatto che stiano chiamando tutti ad unirsi alla jihad in Africa è piuttosto significativo di quale sarà, o di quale è, il nuovo terreno di scontro con l’occidente: “C’è davvero la volontà di mettere i bastoni tra le ruote all’Africa” ha detto Damien Ferré, fondatore della società Jihad Analytics, all’Afp.

Nel 2021 il giornale al-Naba dedicava all’Africa 28 delle 52 prime pagine del magazine e quel numero, nel 2022, è crescente: lo spazio dedicato all’Africa è sempre più grande, come sempre più grandi e sanguinosi sono “i successi” sul campo. Nonostante la propaganda di giunte militari come quella maliana e burkinabé diano fiato, ogni giorno, ai “grandi successi” dell’esercito contro i gruppi armati, la verità è che questi controllano ormai porzioni di territorio che sono di fatto nuove nazioni. Un fenomeno che tuttavia, nella presa sulla società, non ha nulla a che vedere con l’esperimento dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante.

“La jihad africana si tinge di qualcosa di più del radicalismo”, ha detto Hassane Kone, ricercatore dell’Institute for Security Studies (Iss) di Dakar. “Molte persone hanno messo il piede nella staffa per motivi non necessariamente religiosi”, ha aggiunto intervistato dall’Afp. Povertà, abusi da parte dei militari, disoccupazione, fame, sono tanti i motivi che spingono i giovani ad armarsi.

Nell’estate 2021 l’Adf, gruppo islamista legato a Isis dal 2017 e che opera principalmente in Uganda e Repubblica democratica del Congo, ha iniziato a pubblicare video di esecuzioni degli ostaggi tramite decapitazione, proprio come i miliziani dell’Isis facevano ai tempi d’oro in Siria e Iraq. La volontà di allineare l’Adf al “marchio” dell’Isis è chiara, come è chiara la fascinazione transnazionale di questi gruppi, che raccolgono miliziani provenienti da Tanzania, Burundi, Kenya e Sudafrica, oltre a stabilire contatti con i membri arabi dell’Isis.

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