Le custodi di Zanzibar

di claudia
zanzibar

Alghe antiossidanti, spugne marine, corde di cocco: con questi prodotti eco-friendly le donne proteggono la natura dell’isola tanzaniana. Le donne di Zanzibar sembrano vivere in simbiosi con l’ambiente. Nelle acque turchesi dell’oceano coltivano alghe e spugne, sulle spiagge bianche raccolgono noci di cocco con cui realizzano corde vegetali. Ogni giorno conducono attività preziose per sfamare la famiglia e preservare l’ambiente

di Viola Alastra

Jambiani è un villaggio nella parte sud-orientale di Unguja, l’isola principale dell’arcipelago di Zanzibar. Qui è l’oceano che regola i ritmi del lavoro. Ogni giorno, con la bassa marea, centinaia di donne avvolte nei loro kanga colorati si chinano a raccogliere le alghe nell’acqua turchese. L’attività della coltivazione e lavorazione delle alghe si è molto sviluppata dalla fine degli anni Ottanta, in conseguenza al crollo delle vendite del chiodo di garofano che fino ad allora aveva sostenuto l’economia locale. Due volte al giorno l’acqua si ritira regalando centinaia di metri alla costa e permettendo di curare le piantagioni.

Le alghe, di colore bruno e rossastro, vengono coltivate in piccoli appezzamenti subacquei, simili a orti, delimitati da bastoncini e fili. I bastoni che affiorano dall’acqua con la bassa marea sono collegati tra loro da fili sui quali vengono fissati pezzetti di alghe, che in un paio di settimane formano una massa algale pronta per la raccolta. Ogni campo fornisce ogni quindici giorni circa sette chili di alghe, che sono raccolte e trasportate a spalla in grandi sacchi di juta fino alle spiagge bianche dove restano a essiccare per almeno tre giorni. Quando sono completamente disidratate, le alghe vengono portate in una vicina fabbrica che si occupa del confezionamento e della spedizione all’estero. Una parte finisce in un laboratorio nella località di Paje, il Seaweed Center, che le trasforma sul posto. Le alghe, ricche di sostanze antiossidanti, vengono lavorate per realizzare saponi dalle gradevoli profumazioni, ma anche creme per la pelle, shampoo naturali e olii da massaggio: tutti prodotti messi in vendita dalle donne nelle botteghe di Stone Town o nei pressi di hotel e villaggi turistici.

Le alghe coltivate a Zanzibar, della specie Euchema spinosum, sono utilizzate per la produzione di addensanti per cosmetici e alimentari

Jambiani è anche sede di fattorie di spugne. La loro cura è promossa da Marine Cultures, piccola organizzazione senza scopo di lucro che promuove l’acquacoltura per salvaguardare l’ecosistema marino. Gli esperti di questa associazione hanno individuato un agente patogeno che minaccia le spugne: puntano il dito contro l’inquinamento, le microplastiche e l’aumento di temperatura dell’oceano. La crisi ambientale rischia di avere pesanti ripercussioni anche sull’economia locale. Centinaia di donne di Jambiani, infatti, sfamano la famiglia grazie alle spugne marine. Immerse nell’acqua fino al petto, a qualche centinaio di metri dalla riva, avvolte in veli colorati, si preoccupano di tenere sempre in buono stato gli appezzamenti, protetti dalla barriera corallina, eliminando i parassiti e potando le spugne. Alle loro sapienti mani è affidata la cura e la salvaguardia di un ecosistema costantemente sotto pressione.

Le calde e nutrienti acque di Zanzibar permettono di produrre ogni anno circa duemila tonnellate di alghe secche. Le donne si sono unite in cooperative per migliorare la raccolta e tentare di spuntare i prezzi migliori

A Makunduchi, altro villaggio costiero, le donne lavorano la fibra di cocco per trasformarla in corde. La lavorazione è lunga e laboriosa. Le noci di cocco vengono raccolte sulle spiagge, i gusci vengono prima ammorbiditi e poi percossi con un bastone fino a sfilacciarli. La matassa vegetale così ottenuta viene lavorata a mano, intrecciata per produrre corde resistenti che saranno vendute ad artigiani o pescatori. Ogni giorno le donne dell’isola mettono a frutto le conoscenze dell’ambiente trasmesse in famiglia da generazioni. Lavorano sodo. Camminano sotto il sole sulle spiagge bianche, si immergono coi loro abiti nelle acque turchesi dell’Oceano Indiano. Con le loro attività sostengono contribuiscono a preservare la bellezza fragile di Zanzibar.

Una donna dedita alla lavorazione di corde vegetali realizzate con fibre di cocco, estratte dal guscio delle noci

Questo articolo è uscito sul numero 4/2022 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.

Condividi

Altre letture correlate: