di Marco Trovato
Da Padova a Dakar, il viaggio di sola andata di Chiara Barison. Giornalista, ricercatrice universitaria, conduttrice televisiva. Chiara Barison vive a Dakar da oltre vent’anni. Una scelta che l’ha portata a rivedere il suo modo di guardare il mondo. «Qui ho imparato l’umiltà, il valore della diversità e la relatività del nostro pensiero dominante»
«La mia è una storia,come dire, “bizzarra” e controcorrente: la storia di un’italiana che ha deciso di emigrare in Africa». Chiara Barison, sociologa, giornalista e conduttrice televisiva, da oltre vent’anni vive stabilmente a Dakar. Per lungo tempo ha condotto una trasmissione sul più importante canale tivù del Senegal che l’ha resa celebre nel Paese. Oggi ha 42 anni ed è la responsabile comunicazione per l’ufficio di Dakar dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics). «Non è stato facile adattarsi, ma sono grata a questo Paese che mi ha offerto straordinarie opportunità e mi ha insegnato molto sulla vita».
Come sei approdata in Senegal?
All’università, durante il periodo Erasmus in Francia, conobbi tanti studenti senegalesi, miei coetanei… Be’, i senegalesi sono i migliori ambasciatori del loro Paese nel mondo. Ascoltando i loro racconti mi venne voglia di partire per Dakar, dove avrei voluto condurre delle ricerche sui temi della trasmigrazione.
La tua prima impressione?
Quando sbarcai fui sorpresa: la realtà era molto diversa dall’immagine stereotipata che avevo dell’Africa. Mi aspettavo di trovare povertà e bambini affamati. Fui invece catapultata in tutt’altra dimensione: una società dinamica, giovane, vitale.
Una società aperta e in movimento: il terreno ideale dove studiare le migrazioni…
Esatto, per strada incontravo tanti senegalesi che avevano vissuto in Italia e che bene conoscevano il nostro Paese. C’erano negozi con insegne in italiano, aperti da migranti che erano tornati in patria. Il legame storico con la Francia, ex potenza coloniale, era noto; quello con l’Italia assai meno. Decisi quindi di fermarmi per condurre delle ricerche socioantropologiche sulle dinamiche delle migrazioni e sulle connessioni tra Senegal e Italia.
Avresti dovuto restare qualche settimana, invece decidesti di fermarti…
Dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, cominciai a tenere lezioni di sociologia in alcune università private… Sono molto grata al Senegal perché mi ha offerto delle possibilità che in Italia non avrei mai avuto.
Raccontavi la tua nuova vita senegalese in un blog.
Si chiamava Dakarlicious, pubblicavo racconti di vita quotidiana e riflessioni su temi socioculturali. Avevo una formazione giornalistica e sociologica, raccontavo il Paese coi miei occhi. Il blog aveva successo, ma anche un limite: era scritto in italiano. Sentii l’esigenza di allargare la mia platea utilizzando un canale che entrasse nelle case dei senegalesi. Perfezionai il mio francese e cominciai a parlare anche in wolof. Un giorno mi presentai alla sede di TFM, Télé Futurs Médias, stazione radiotelevisiva fondata dal cantante Youssou Ndour. Con una certa faccia tosta chiesi di parlare con il direttore. Le guardie all’ingresso mi squadrano come fossi pazza. Ma fui fortunata. Il direttore passò in quel momento e mi proposi come collaboratrice. Fortunatamente si fece convincere.
Ti fu affidata la conduzione di una trasmissione dedicata ai temi delle migrazioni.
Esatto. Il Senegal è storicamente un Paese di immigrazione, più che di emigrazione. A Dakar ci sono più di ottanta comunità straniere: per lo più composte da gente originaria di altri stati dell’Africa, ma anche dell’America Latina e dell’Europa. Il mio lavoro consisteva nel visitare e raccontare le diaspore che fanno del Senegal uno straordinario crocevia di popoli e culture. L’esperienza mi ha molto arricchito a livello sia professionale che umano.
Che cos’hai imparato a Dakar?
Il valore e la bellezza della diversità, la relatività del proprio punto di vista, l’importanza di guardare le cose da altre prospettive. Il Senegal mi ha aiutato ad allargare lo sguardo, a mettermi in discussione. Noi europei veniamo in Africa spesso con la presunzione di conoscere le ragioni e le soluzioni dei problemi. Ci sentiamo superiori, siamo spesso saccenti. Vivere qui, italiana in mezzo a una moltitudine di africani, mi ha reso più umile, meno arrogante… Il confronto quotidiano con la cultura del posto mi ha aiutata a crescere.
In Senegal vivono stabilmente 2.600 connazionali. Chi sono?
La comunità italiana è variegata e in crescita. Ci sono italiani residenti in Senegal da decenni. Alcuni hanno trovato l’amore, altri il lavoro. E poi ci sono tanti nuovi migranti, giovani italiani in cerca di opportunità. Alcuni si mettono in affari con senegalesi tornati a vivere qui dopo avere vissuto anni in italia. Si creano belle sinergie, delle belle collaborazioni.
Hai avuto problemi, difficoltà, a integrarti?
Il colore della nostra pelle non passa inosservato. Agli occhi di chi non mi conosce sono una bianca, una toubab con il corollario di cliché insiti in quella parola. Certi pregiudizi, inutile negarlo, sono frutto anche di un certo modo di viaggiare e di fare ostentato dai bianchi. Ma vanno comunque combattuti. Non sopporto di essere etichettata. Esigo rispetto. Ne ho fatto una battaglia personale.
Se sento per strada un commento sgradevole rivolti a me, non lascio correre… Per esempio, c’è una parola wolof usata per indicare i bianchi, xonq nopp,che letteralmente significa “orecchie rosse”. Non ha un’accezione dispregiativa, ma certo non è carina. Esistono altre espressioni, valide alternative, rispettose ed eleganti. Non manco mai di ricordarlo ai miei interlocutori… Un tempo accadeva più spesso. La televisione mi ha aiutata a sradicare, a sgretolare, gli stereotipi. Al mercato o dal parrucchiere vengo riconosciuta. La gente esprime simpatia e apprezzamenti. Mi chiamano per nome, pronunciato e storpiato nelle forme più strane. È divertente…
La parola “casa” oggi a cosa ti fa pensare: all’Italia o al Senegal?
“Casa” significa anzitutto “famiglia”. Io sono nata nella provincia padovana, dove ancora ho i miei affetti più cari, verso cui nutro un legame molto forte. Però il Senegal oggi è la mia casa. Io mi sento profondamente senegalese: nei modi di fare, nei modi di pensare. A ben guardare, mi sono sento sospesa tra due Paesi, a cavallo tra Senegal e Italia.
Com’è l’Italia vista da Dakar?
Un Paese che purtroppo sembra avere esaurito la sua forza propulsiva. Quando torno in Italia vedo una società con poca energia, con poca voglia di cambiare. Prevale la stanchezza, l’abitudine, la rassegnazione. Qui è diverso. Certo ci sono tanti problemi, tante contraddizioni. Ma il futuro non fa paura…
Eppure tanti giovani senegalesi sognano l’Europa.
È vero, quando parlo con loro consiglio anzitutto di informarsi sul viaggio. La migrazione deve essere una scelta libera e consapevole. In troppi rischiano la vita nei percorsi irregolari. A Dakar ci sono associazioni locali che aiutano i giovani a intraprendere percorsi più sicuri.
Una buona ragione per venire in Senegal?
Il Senegal è come una matrioska. Ogni volta che ne scopri un pezzo se ne apre un altro… e la scoperta è sempre un’avventura entusiasmante.
Questo articolo è uscito sul numero 5/2022 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.
Foto di apertura: Marco Gualazzini