di Mario Giro
Crolla il mito di un’Africa Felix a dispetto di ogni avversità: sono africani sei dei dieci Paesi con i più alti tassi di suicidio al mondo. E tra i continenti è l’Africa in vetta a questa triste classifica. Ma i dati nascondono tra le pieghe soprattutto il problema della salute mentale, tutto da affrontare
Al contrario di ciò che si credeva, la regione del mondo in cui il tasso di suicidi è più alto è l’Africa. Smentendo la retorica dell’africano felice tra guerre, crisi e pandemie, il continente nero diviene un incubo per i suoi giovani che spesso scelgono –soprattutto se maschi (tassi tre volte superiori alle ragazze) – di togliersi la vita. È questa la triste realtà che emerge dai dati di una ricerca dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) presentata a inizio ottobre. Di conseguenza, l’Oms ha lanciato una campagna di prevenzione dei suicidi in Africa.
Secondo i dati raccolti, nel continente si suicidano circa 11 persone ogni 100.000, un dato superiore alla media globale che è di 9 su 100.000 persone. Se si considera la mancanza o la carenza di dati disponibili, c’è da presumere che la realtà sia ancora più drammatica. Sono africani sei dei dieci Paesi con i più alti tassi di suicidio al mondo. Secondo l’organizzazione di Ginevra, tale situazione si spiega con l’aumento esponenziale dei disturbi mentali, oltre che con i limitati mezzi di azione disponibili per trattare e prevenire tali fattori di rischio.
Gli studi mostrano che in Africa, per ogni suicidio commesso, si stima vi siano 20 tentativi. L’Oms da deciso di sostenere e potenziare i servizi di salute mentale nel continente. Nell’agosto di quest’anno i ministri della Sanità africani si sono riuniti come comitato regionale dell’Oms per l’Africa – l’incontro più importante in materia di salute – e hanno approvato una nuova strategia per rafforzare l’assistenza alla salute mentale, fissando nuovi obiettivi. Entro il 2030 tutti i Paesi dovranno possedere una politica e una legislazione sulla salute mentale; il 60% almeno dovrà averla attuata; l’80% dovrà avere un budget per i servizi di salute mentale. L’obiettivo è rafforzare gli sforzi in corso da parte dei Paesi africani per rendere l’assistenza alla salute mentale una priorità di salute pubblica continentale. In realtà, salvo eccezioni, in Africa le malattie mentali non vengono trattate come malattie normali e la maggioranza della popolazione le considera ancora un mistero, una vergogna da nascondere o un fatto da eliminare.
Tra i fattori che contribuiscono ai problemi mentali ci sono il rapido cambiamento sociale e di modello antropologico. Lo sviluppo economico tumultuoso ha provocato il sorgere in Africa di nuovi comportamenti sociali, molto più competitivi e violenti. Le aspettative sociali – soprattutto nei confronti degli uomini – sono cambiate con modelli di successo e riuscita meritocratici, individuali e molto aggressivi. L’abuso di alcol, un segnale premonitore della depressione, è molto diffuso. Normalmente nelle famiglie africane è difficile identificare i segni di un disturbo mentale incipiente: chi dà segni di “stranezza” viene facilmente stigmatizzato, come accade anche agli anziani (divenuti molto numerosi) e ai bambini di strada. Chiunque non rientri nei canoni della famiglia tradizionale subisce tale discredito. Lo stigma legato alla depressione e alla tendenza al suicidio spesso nasconde le vere cause della malattia, ma il disagio psichico non viene percepito come curabile. Chi ne è portatore viene allontanato o segregato. Depressione e suicidio sono argomenti ancora tabù, in Africa, anche se il riconoscimento della malattia mentale sta crescendo. Il suicidio non è una novità assoluta nel continente: era presente anche nelle società tradizionali, dove rimaneva tuttavia un fatto eccezionale.
Nonostante l’urgenza del problema i governi africani stanziano in media meno di 50 centesimi di dollaro a persona per trattare i problemi di salute mentale. La cifra è in crescita ma ancora al di sotto dei 2 dollari a persona raccomandati per i Paesi a basso reddito. L’assistenza per la salute mentale non è generalmente inclusa nei programmi sanitari nazionali, aggiunge l’Oms, sottolineando che in Africa c’è solo uno psichiatra per 500.000 abitanti. I pochi operatori della salute mentale lavorano per lo più nelle aree urbane, lasciando spesso le comunità rurali senza alcun supporto, come accade per altre specializzazioni medico-sanitarie.
Sempre secondo l’Oms, i problemi di salute mentale colpiscono circa 116 milioni di persone nel continente rispetto ai 53 milioni del 1990. I precedenti dati della Banca mondiale del 2014 sui suicidi africani non erano così tragici: si è dunque verificato un peggioramento proprio in questi ultimi anni. Ciò non sorprende chi conosce l’Africa: la forsennata cavalcata tra investimenti e nuove opportunità economiche, connessa all’indebolimento delle istituzioni e di conseguenza del quadro generale di sicurezza collettiva, ha certamente ingenerato un mutamento epocale. Da una parte si è abbassato il livello etico generale; dall’altra una gara per l’accaparramento a tutti i livelli è diventata il modello socio-economico (e quindi antropologico) vincente. Esempi di riuscita sono divenuti l’imprenditore o commerciante senza scrupoli né legami con il proprio territorio; il trafficante; il contrabbandiere; il ribelle armato legato alle reti criminali.
Il tessuto sociale e istituzionale di interi Paesi è andato disfacendosi. Non si tratta tanto della scomparsa dell’Africa tradizionale quanto delle conseguenze psicologiche e sociali di tutto questo cambiamento su una popolazione giovane, poco istruita e abbandonata a sé stessa. Non a caso molti giovani tentano la via della fuga verso l’Europa o sono attratti dall’avventura violenta della ribellione e del jihadismo. Ma, come dimostrano questi dati, molti non ce la fanno a reagire e cadono in depressioni senza sbocchi.
Questo articolo è uscito sull’ultimo numero della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui. O abbonati, approfittando delle promozioni in corso.