In Namibia, il Cheetah Conservation Fund è impegnato a salvare dall’estinzione gli animali più veloci del pianeta. I ghepardi erano finiti nel mirino degli allevatori locali, che avevano sempre il colpo in canna per difendere il loro bestiame. Grazie a uno stratagemma, la carneficina è stata arrestata. I felini corrono di nuovo liberi. Ma rimane un’altra minaccia
di Claudia Volonterio
L’inconfondibile mantello a macchie, lo sguardo risoluto, la corporatura slanciata ed elegante. Il ghepardo è un mammifero tanto affascinante quanto a rischio di estinzione. Conosciuto per la sua velocità, può raggiungere in una manciata di secondi i 110 km/h (come una Ferrari). Ma lo spazio dove correre è sempre di meno: l’uomo ha occupato gran parte del suo habitat naturale con strade, villaggi, piantagioni e allevamenti. Non solo. Il ghepardo è tra le prede più ambite dai bracconieri. Gli esemplari adulti vengono cacciati per la loro pelliccia, che vale una fortuna, mentre i cuccioli vengono rapiti e rivenduti come “animali domestici da compagnia” alle monarchie del Golfo Persico, che sono disposte a pagare fino a ventimila dollari per un piccolo.
In Namibia, poi, i ghepardi sono finiti da tempo nel mirino degli allevatori locali, più che mai determinati a sparare contro i felini selvatici per difendere il loro bestiame. Si stima che in cinquant’anni abbiano ucciso quasi diecimila esemplari. Per fermare la strage si è mobilitato il Cheetah Conservation Fund, istituto di ricerca che si occupa dello studio e della salvaguardia degli ultimi esemplari rimasti nel Paese. Nel nord della Namibia, a circa quaranta chilometri da Otjiwarongo, dove sorge il centro fondato dalla biologa Laurie Marker, si trova la più grande popolazione di ghepardi al mondo (circa 1.400 esemplari). Qui i felini si muovono e cacciano liberamente nel territorio, oggi finalmente senza pericoli. «Per arrestare la carneficina abbiamo trovato uno stratagemma, alleandoci con altri animali: i cani».
Da dieci anni il centro della dottoressa Marker alleva e addestra cani da pastore, di razze turche, di grandi dimensioni e dal forte istinto protettivo. Fin da piccoli i cuccioli vengono abituati a stare vicino a capre e pecore da proteggere. Quando sono pronti, i cani vengono consegnati agli allevatori a un prezzo minimo e accessibile. La logica è semplice e pratica: il cane difende il bestiame e i pastori non hanno più necessità di sparare ai ghepardi. «Da quando il programma è stato avviato, sono stati addestrati e distribuiti agli allevatori in decine di villaggi più di seicento cani», racconta la dottoressa Marker, che commenta: «Nella regione la perdita di bestiame è stata ridotta dell’ottanta per cento e ciò ha cambiato l’atteggiamento degli abitanti nei confronti dei ghepardi, che oggi non sono più considerati come una minaccia».
Il problema è risolto per i ghepardi? Nient’affatto. Il più veloce animale terrestre del pianeta rischia di correre verso l’estinzione. «Una delle maggiori sfide che questi mammiferi devono affrontare è la bassa diversità genetica, che li rende estremamente vulnerabili», spiegano i ricercatori del Cheetah Conservation Fund, che da anni conducono in laboratorio studi di genetica utili alla salvaguardia di questi animali. «Abbiamo scoperto che in natura esistono solo quattro sottospecie di ghepardi». Non è una buona notizia: con una popolazione così uniforme, il focolaio di una malattia virale potrebbe spazzare via l’intera popolazione. «Per questo motivo i nostri sforzi per la loro difesa devono continuare con l’aiuto di tutti», ammonisce Laurie Marker. «Se non ci diamo da fare subito con una seria politica conservativa, il ghepardo si estinguerà nell’arco di pochi decenni. E saremo tutti più poveri».
Questo articolo è uscito sul numero 5/2022 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.