di Annamaria Gallone
Un documentario estremamente interessante presentato alla recente 32° edizione del Fescaaal (Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America latina), Le spectre de Boko Haram, svela la vita di chi vive sotto la costante minaccia del terrorismo. La regista camerunese Cyrielle Raingou nel suo film, che ha vinto il Tiger Award, il massimo premio al festival di Rotterdam 2023, ha scelto di narrare la drammatica quotidianità di un villaggio nel Nord del Camerun, sul confine con la Nigeria, Kolofata, attraverso le testimonianze dei bambini. Il villaggio dal 2014 ha già subito ripetuti attacchi dall’ organizzazione terroristica jihadista e vive presidiata dall’esercito camerunese.
Nella prima scena del film una bambina, Falta Souleymane, seduta presso un focolare, ci racconta come è avvenuta la macabra uccisione di suo padre. Mentre puliva una grondaia, l’uomo è stato avvicinato da due sconosciuti con in mano un pollo e , mentre si informa se è in vendita e quanto costa, all’improvviso uno dei due uomini preme un pulsante sotto i vestiti e si fa esplodere.
Dopo questo racconto, la regista ci svela, per contrasto, la vita “normale” di Kolofata interrotta da alcuni colpi di arma da fuoco sparati poco lontano dal villaggio.
Cyrielle non cerca effetti speciali, la sua narrazione è molto semplice, rifiuta le interviste, il sentimentalismo e anche i toni tragici, si limita all’ascolto e forse ancora di più ci colpisce la testimonianza dei tre bambini protagonisti: Falta, che si dimostra abbastanza matura per la sua età e decisa a elaborare la scomparsa del padre, Ibrahim Alilou e di suo fratello maggiore Mohamed, profughi dalla Nigeria, dove sono stati torturati in un campo jihadista. La madre li ha cercati ovunque, ma li crede ormai morti perché le hanno raccontato che i suoi figli sono annegati. I due bambini cercano di affrontare i traumi del passato e per trovare un equilibrio tra la loro vivacità e i più banali doveri scolastici. Tenerissima la scena dei loro dialoghi notturni, mentre finiscono poi di azzuffarsi come fanno tutti i cuccioli.
La guerra, però, è profondamente penetrata nell’animo di tutti i ragazzini, che non a caso nei loro disegni ritraggono unicamente soldati, mitragliatrici, carri armati e sangue.
Verso i piccoli lo sguardo della regista è discreto e delicato, il suo approccio è umanistico e ciò che crea un così netto contrasto all’interno di questo film è la tranquillità surreale e la facilità con cui i bambini ci rivelano gli atti orribili a cui hanno assistito, mentre ogni angolo del loro villaggio è costantemente sorvegliato dall’esercito.
Commuove anche profondamente, da parte di tutti, il coraggioso tentativo di andare avanti.