di Angelo Ferrari
Da venditori di cammelli a paramilitare tra i più pericolosi del Sudan. Questa è la parabola del generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemedti, che si è fatto strada nell’ombra per diventare uno degli uomini più potenti del Sudan. È colui che al comando dei famigerati “janjawid” – al soldo del deposto dittatore Omar al-Bashir – ha seminato il terrore nella regione del Darfur tra il 2003 e il 2008. Sotto i suoi ordini, circa 100mila combattenti hanno commesso tutti i tipi di crimini contro l’umanità nei diversi conflitti in Sudan, mentre lui diventava anche la persona più ricca del paese, prendendo con la forza il controllo della maggior parte delle miniere d’oro del Sudan, che rappresentano quasi la metà delle entrate nelle casse del Paese, e anche facendo affari inviando i suoi combattenti a partecipare come mercenari in diversi conflitti, come in Yemen e Libia.
La carriera di Hemedti come leader paramilitare è iniziata con la guerra civile nel Darfur, appunto, che ha causato circa 300mila morti, secondo le stime delle Nazioni Unite. Poi è stato scelto dell’ex dittatore islamista Omar al-Bashir, rimasto al potere per un trentennio, come suo uomo di fiducia. Nel 2004, Hemedti ha comandato direttamente uno dei massacri più feroci del conflitto del Darfur, quando ha ordinato l’assassinio a sangue freddo di circa 130 abitanti del villaggio di Adwa, che i janjawid hanno bruciato prima di stuprare centinaia di donne e seppellire gli uomini in fosse comuni. È stato accusato di “genocidio” e “pulizia etnica”, commessi contro la popolazione di origine africana. I janjawid diventano poi le Forze di supporto rapido, che lui governa.
Nel corso della sua vita, Hemedti si è dimostrato un soldato senza scrupoli, ma anche senza lealtà. Nel 2019 ha partecipato al rovesciamento del suo “padrino”, Omar al Bashir, durante la cosiddetta rivoluzione sudanese, una mobilitazione popolare che finirà per reprimere brutalmente. Hemedti viene accusato del massacrato di più cento manifestanti in un solo giorno durante un sit-in nel giugno di quell’anno.
La rivoluzione ha avviato un processo di transizione in Sudan e ha istituito un governo civile al quale Hemedti ha giurato fedeltà. Tuttavia, due anni dopo, nel 2021, i paramilitari al suo comando hanno ordito un colpo di stato insieme al capo dell’esercito, Abdelfatah al Burhan, diventando così vicepresidente del Consiglio sovrano, l’organo esecutivo del Paese.
Sotto la pressione internazionale il Sudan ha avviato un processo politico per il ripristino delle istituzioni democratiche con la firma di un accordo quadro il 5 dicembre 2022 teso, anche, a rimuovere i militari dal potere. Il nodo non sciolto, che ha portato agli scontri di queste ore, è proprio l’integrazione delle Forze di supporto rapido nell’esercito. Hemedti non ci sta perché si ridurrebbe di molto il suo potere e lo spazio di manovra per i suoi affari. E a farne le spese è ancora la popolazione sudanese.
Credit Foto: AFP