“Io, Bola Ahmed Tinubu, giuro solennemente che non permetterò ai miei interessi personali di influenzare la mia condotta o le mie decisioni ufficiali”: con queste parole Bola Ahmed Tinubu ha prestato oggi giuramento come 16° presidente della Nigeria insediandosi ufficialmente a capo della più grande democrazia africana.
Pochi minuti prima, aveva prestato giuramento come vicepresidente Kashim Shettima. Il loro giuramento è stato supervisionato dal procuratore capo della Nigeria, Olukayode Ariwoola, a Eagle Square, la piazza principale di Abuja.
Bola Tinubu, 71 anni, ha vinto le elezioni di febbraio con la promessa di rinnovare la speranza, ma deve affrontare difficili sfide economiche e di sicurezza, prendendo il posto del presidente uscente Muhammadu Buhari.
Dal suo predecessore Muhammadu Buhari, Tinubu eredita un Paese che ha risentito delle congiunture economiche internazionali con un peggioramento delle condizioni di vita generale. E raccoglie anche la grande sfida della sicurezza rappresentata dall’azione di gruppi armati organizzati: non c’è infatti soltanto Boko Haram, ma in diverse regioni ci sono gruppi dediti ai rapimenti a scopo di estorsione e ad altre attività criminali.
Tinubu, esponente dell’All Progressives Congress di Buhari, ha vinto con il 37% dei voti, la percentuale più bassa dal 1999.
Sul fronte economico, la Nigeria deve fare i conti con un debito record, una carenza di valuta estera e di carburante, una valuta locale debole, un’inflazione alta, forniture di energia elettrica ridotte all’osso e una produzione petrolifera in calo a causa di investimenti insufficienti e di fenomeni criminosi difficili da contrastare.
Prima di lasciare la presidenza, Buhari ha difeso il suo operato sostenendo che le nuove infrastrutture, come strade, ponti e aeroporti, e le politiche protezionistiche hanno gettato le basi per la crescita futura. Ha poi sostenuto di aver messo un freno ai gruppi islamisti aumentando le spese per la difesa.
Ma, secondo molti osservatori, il quadro che emerge è quello di un Paese che resta sì la prima economia continentale ma che non riesce a eliminare le cause profonde che ne rallentano lo sviluppo.