Prevale cautela negli ambienti diplomatici dopo l’intesa raggiunta ieri di un prolungamento della tregua in atto tra l’esercito sudanese e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rfs). Una cautela d’obbligo in considerazione del fatto che l’applicazione della tregua sta risultando complessa e il suo rispetto traballante come hanno sottolineato Stati Uniti e Arabia Saudita, i due Paesi che in questo momento stanno provando a mediare tra le parti.
“La proroga fornirà il tempo necessario per fornire ulteriore assistenza umanitaria, ripristinare i servizi essenziali e discutere di una potenziale estensione a lungo termine”, si legge in un comunicato congiunto sottoscritto da Washington e Riad.
La proroga è giunta mentre nelle stesse ore i combattimenti a Khartoum erano di fatto ripresi con testimonianze di colpi di artiglieria e di persistenti violazioni.
Il Sudan è piombato nel caos dopo che a metà aprile sono scoppiati i combattimenti tra l’esercito, guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e il leader dell’Rsf, il generale Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”.
I due che fino a quel momento avevano governato insieme il Paese hanno aperto un confronto armato che ha finora causato secondo stime correnti quasi 900 morti e migliaia di feriti. Gli scontri oltre a provocare grossi danni materiali e vittime ha spinto 1,4 milioni di civili alla fuga, in alrtre zone del Paese e nei Paesi confinanti.
Una settimana fa, entrambe le parti si erano impegnate a sospendere gli attacchi aerei, il fuoco dell’artiglieria e le battaglie urbane per consentire l’ingresso di aiuti e permettere ai civili di fuggire. Ma al settimo giorno di tregua, nessun corridoio umanitario era stato assicurato e gli aiuti erano arrivati solo per rifornire i pochi ospedali ancora funzionanti nella capitale.