Mura merlate, torri di guardia, passaggi segreti e pozzi: questo l’insolito e affascinante paesaggio che caratterizza Djado, complesso fortificato di sale e argilla arroccato su roccia e sabbia nel deserto del Niger. Mete ambite dal turismo decenni fa, queste zone sono state abbandonate per l’instabilità che caratterizza la regione da un ventennio. L’agenzia Afp apre una breccia sul mistero che avvolge questo territorio su cui non è mai stato fatto alcuno scavo o datazione scientifica. Fragile e affascinante, questa oasi fortificata rischia con il tempo di deteriorarsi.
Non è facile comprendere perché questa fortificazione in sale e argilla è stata costruita proprio in questa regione arida e ormai abbandonata. Djado si trova nella regione dell’oasi di Kawar, oggi crocevia del traffico di droga e armi che allontana qualsiasi visitatore. “Non ci sono stati turisti stranieri dal 2002”, ha spiegato ad Afp Sidi Aba Laouel, sindaco di Chirfa, il comune dove si trovano i siti di Djado.
Nessuno scavo archeologico è stato fatto, ma il sindaco della città è riuscito a ricostruire attraverso delle fonti scritte in parte la sua storia. Secondo il sindaco i primi abitanti conosciuti a Kawar furono i Sao, ai quali probabilmente si devono le prime fortificazioni, riporta Afp.
Quando i primi europei arrivarono nel 1906, racconta, gli ksar avevano ormai perso la loro utilità di proteggere gli abitanti dalle incursioni che da secoli devastavano la regione.
Tra il XIII e il XV secolo, riporta Afp, i Kanouri si stabilirono nell’area. Le loro oasi furono devastate nel XVIII e XIX secolo da invasioni di nomadi tuareg, arabi e toubou. Proprio questi si radicarono a Djado e vi stabilirono una delle loro roccaforti, fino all’arrivo dei soldati francesi che, nel 1923 conquistarono la zona.
Djado è stata inserita nel 2006 in un elenco provvisorio dell’UNESCO, il che non le garantisce purtroppo un’adeguata attenzione e cura. La popolazione, orgogliosa delle proprie rovine, è preoccupata che le condizioni atmosferiche possano a lungo andare danneggiare i fragili edifici, considerati da molti antichi di “almeno duecento anni”.