di Claudia Volonterio
La Namibia, affascinante stato dell’Africa meridionale, tra i primi posti al mondo per minore densità di popolazione, vanta un primato artistico e archeologico unico: ospita infatti una delle più grandi collezioni africane di incisioni rupestri e decine di migliaia di dipinti attribuiti a cacciatori-raccoglitori dell’età della pietra, alcuni risalenti a 30.000 anni fa. Tesori purtroppo minacciati dal cambiamento climatico e da un “eccesso” di turisti.
Sono decine di migliaia secondo l’agenzia Reuters le persone che ogni anno si recano nei siti dove è possibile ammirare da vicino il patrimonio artistico rupestre della Namibia. Tra questi ci sono diversi archeologi provenienti da tutto il mondo. Il turismo legato alle incisioni è una fondamentale fonte di reddito per le comunità locali, ma queste visite sempre più “smisurate” e il clima impazzito stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza di questi dipinti antichi risalenti a trentamila anni fa.
Un degrado sempre più consistente – parliamo di crepe, sbiadimento dei disegni ed erosione delle rocce – causato da diversi fattori. Tra i principali ci sono l’innalzamento delle temperature, forti inondazioni, sollevamento della polvere, crescita della vegetazione, funghi, riporta Reuters. Anche il passaggio insolito degli animali, per lo più elefanti, intenti a cercare con disperazione l’acqua vicino ai siti rappresentano una minaccia per la sopravvivenza dell’arte antica.
Le condizioni climatiche in Namibia per il prossimo futuro, secondo gli esperti, metteranno a dura prova il Paese. Previsto un caldo estremo, precipitazioni improvvise e innalzamento della temperatura oceanica.
In questo scenario, anche i turisti hanno una loro responsabilità, ha spiegato alla Reuters l’archeologo namibiano John Kinahan. “Il traffico di persone solleva polvere fine che si attacca alle rocce”, ha aggiunto Kinahan – “senza dimenticare che i fumi delle auto, i turisti che toccano le rocce o sovraccaricano le piattaforme, così come l’attività sismica e l’estrazione mineraria, rappresentano tutti un ulteriore rischio per la longevità dell’arte”.
Un pericolo, quello della finitezza dell’arte rupestre namibiana, che mette fortemente in ansia i locali, archeologi e non solo. Si parla infatti dell’identità di un popolo, di radici messe in crisi dalla mano dell’uomo stesso. Le persone hanno bisogno di “vedere” i propri antenati, le loro tracce, spiega alla Reuters Tertius Oeamseb, una guida del sito di arte rupestre di Brandberg. La perdita di un patrimonio significherebbe inoltre una grossa mancanza in termini di formazione per la generazione futura di archeologi.
In tutto il mondo sono stati fatti passi avanti per sopperire con la tecnologia il pericolo della dipartita dell’arte rupestre. In Sudafrica, per esempio, la scansione 3D e i tour virtuali costituiscono una possibile soluzione per diminuire il numero di turisti, proteggendo l’arte e al contempo rendendola accessibile e fruibile da un pubblico più ampio.