La Corte penale internazionale (Cpi) ha aperto un indagine sui nuovi crimini di guerra nella regione sudanese del Darfur, dopo tre mesi di conflitto nel Paese, ha detto ieri il procuratore capo della corte, Karim Khan, riferendo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
I pubblici ministeri della Cpi stanno “seguendo da vicino i rapporti di uccisioni extragiudiziali, incendi di case e mercati e saccheggi, ad El Geneina, nel Darfur occidentale, nonché l’uccisione e lo sfollamento di civili nel Darfur settentrionale e in altre località del Darfur”. I giudici stanno inoltre esaminando “le accuse di crimini sessuali e di genere, inclusi stupri di massa e presunte denunce di violenza contro e che colpiscono i bambini”, ha affermato.
“Siamo in pericolo di permettere alla storia di ripetersi – la stessa miserabile storia”, ha detto Khan al Consiglio di Sicurezza. “Se questa frase spesso ripetuta di ‘mai più’ deve significare qualcosa, deve significare qualcosa qui e ora per la gente del Darfur che ha convissuto con questa incertezza, dolore e le cicatrici del conflitto per quasi due decenni”, ha continuato, annunciando la nuova indagine.
Il Darfur è stato teatro dal 2003 di un acceso conflitto etnico tra popolazioni locale non arabe e milizie arabe, chiamate Janjaweed, e inviate dal governo centrale. A caussa di quelle violenze almeno 300.000 persone sono state uccise e 2,5 milioni di sfollate, secondo le Nazioni Unite.
Il timore di nuovi massacri nella regione è cresciuto nelle ultime settimane, di pari passo con gli scontri tra le forze armate sudanesi e i paramilitari delle Forze di supporto rapido – costola dei vecchi Janaweed. Le violenze in Darfur, seppur legate alla guerra per il potere che si combatte nella capitale Khartoum, hanno anche una componente etica. Le Nazioni Unite hanno comunicato ieri la scopert di almeno 87 corpi di persone di etnia Masalit, presumibilmente uccise il mese scorso dalle Rsf e dai loro alleati, in una fossa comune.
La Cpi, che ha la giurisdizione per indagare in Darfur dal 20025, non può attualmente lavorare in Sudan a causa della precaria situazione della sicurezza, ma intende farlo il prima possibile, ha aggiunto Khan. Il procuratore ha intanto detto di aver inviato una richiesta al governo del Sudan per scoprire dove si trovino gli attuali sospetti.