a cura di Claudia Volonterio
Si chiamano “rifugiati arcobaleno”: sono il numero sempre più in crescita di persone costrette a lasciare il proprio Paese a causa del proprio orientamento sessuale o identità di genere,. La persecuzione anti-LGBTQ+ è una realtà in diverse parti dell’Africa – come Nigeria, Mauritania, Uganda- ma anche in Asia e Medioriente. A oggi sono circa sessanta i Paesi possiedono apposite leggi che criminalizzano i comportamenti omosessuali, riporta Africanews. La fuga e la richiesta di asilo in un Paese europeo sembra essere l’unica soluzione per evitare la persecuzione, la detenzione e nei casi più gravi la morte.
A pochi giorni dalla Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia emerge un quadro su cui fanno luce diverse organizzazioni non governative, che monitorano il numero di migranti in cerca di riparo da persecuzioni nel proprio paese d’origine. Tra le migliaia che scappano da guerra, crisi e povertà c’è un numero sempre più in crescita di persone costrette a scappare da leggi che puniscono in maniera più o meno grave le persone e i comportamenti omosessuali.
Difficile stabilire le cifre esatte. La maggior parte dei paesi europei, spiega la medesima fonte, non conserva statistiche sul numero di migranti che rivendicano la persecuzione anti-LGBTQ+ come motivo per chiedere protezione come rifugiato ai sensi del diritto internazionale. Le ong hanno invece un controllo più capillare del fenomeno e affermano che i numeri stanno aumentando man mano che i paesi approvano o inaspriscono le leggi anti-omosessualità. Tra le varie che si occupano proprio di sostenere chi cerca protezione, emerge Rainbow Railroad, la quale ha riferito di cifre che si aggirano tra le 15.000 richieste di assistenza annue, 1500 solo dall’Uganda, in crescita rispetto alle circa 9.500 dell’anno precedente.
Secondo l’Associazione Internazionale Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans e Intersessuali (ILGA), più della metà delle 54 nazioni africane vietano le attività consensuali tra persone dello stesso sesso, riporta Reuters.
Tra i Paesi africani da cui provengono diversi migranti spuntano la Nigeria e l’Uganda, quest’ultima ricordiamo essere patria di una delle leggi anti Lgbtq+ più aspe al mondo. La legge anti-omosessualità ugandese prevede la pena di morte per “omosessualità aggravata” e fino a 14 anni di carcere per “tentata omosessualità aggravata”.
Sono tante le storie di persone in fuga raccolte da Africanews, che dà voce per esempio alla storia di Ella e della sua compagna Doris, emigrate insieme qui in Italia. “Certamente la vita qui in Italia non è al 100% quella che vogliamo. Ma diciamo che è migliore dell’80% rispetto al mio Paese. In Nigeria, se sei fortunato finisci in prigione. Se non sei fortunato, ti uccidono”, ha aggiunto. Nelle zone della Nigeria dove è in vigore la legge della Sharia, le persone LGBTQ+ rischiano infatti fino a 14 anni di carcere o la pena di morte.
La risposta a questa emergenza c’è, grazie al lavoro delle associazioni e delle organizzazioni non governative, ma non è ancora abbastanza. L’assistenza varia di Paese in Paese e nello stesso cambia in base alle unità territoriali. Per esempio in Italia, a Roma, Antonella Ugirashebuja, attivista dell’associazione Arcigay riferisce della presenza di soli 10 posti letto appositamente destinati ai migranti LGBTQ+.
Tra i rifugiati arcobaleno, più a rischio sono ancora una volta le donne. Le donne lesbiche, riporta la medesima fonte, rischiano infatti di cadere, una volta emigrate, nella rete dello sfruttamento sessuale, senza poter contare sull’aiuto di nessuno, tanto più sulla famiglia d’origine, spiega Ugirashebuja dell’Arcigay. “Le lesbiche che lasciano l’Africa spesso, o più frequentemente, finiscono nelle reti della prostituzione e dello sfruttamento sessuale perché non hanno il sostegno (economico) delle loro famiglie. La famiglia li considera persone da allontanare, da rifiutare, soprattutto nei Paesi dove questo è punibile dalla legge.”