Tanzania, il monte magico dei Masai

di claudia
masai tanzania

di Paola Scaccabarozzi

Nel nord della Tanzania, c’è un luogo sospeso tra poesia, spazi infiniti e luce: è l’Ol Doinyo, il monte di Dio per i Masai; il vulcano ancora attivo e mai spento che scruta gli esseri viventi e la terra arida. All’Ol Doinyo Lengai bisogna tornare.

Capita che la polvere abbia il sapore della poesia. E’ sera nel nord della Tanzania. Le mandrie tornano verso i villaggi e sollevano terra. Sono bianche, di un bianco sporco fatto di terriccio e sabbia, ma lucenti in un paesaggio brullo, spoglio e densissimo.  E’ il solito ossimoro dell’esistenza: scarna, ridotta all’osso e, al tempo stesso, incomprensibilmente ricca.   

I pastori sono snelli, alcuni filiformi. Sono soprattutto maschi,  più o meno giovani. Si muovono lentamente, la giornata è quasi finita, è il tempo calmo del ritorno. Li sostiene un bastone di legno, forse antico. Indossano un telo rosso quadrettato, il tessuto che racconta la storia di un paese  che fu anche degli inglesi. E’ una stoffa che avvolge il corpo in maniera casuale ed elegantissima, come spesso accade in Africa. 

Foto di Paola Scaccabarozzi

Più in là una donna, resa visibile da lontano da un telo blu che tende al violaceo. E’ l’abito che la rende un tutt’uno con il suo bambino, stanco, cotto dal sole, rannicchiato sulle spalle della madre. Anche loro vanno verso. Incedono insieme al bestiame. I piedi nudi di lei spostano sassi, le sue caviglie, adorne di voluminosi gioielli, danzano inconsapevoli insieme alle mandrie. La povere si alza, formando piccole nubi che si dissolvono e si riformano. Gli animali si spostano, avanzano. Altri pastori rientrano. Compaiono bambini minuti e scalzi. Loro sono veloci, scalpitanti. Giocano, corrono e, talvolta, si fermano per sorvegliare le capre e prendersi così cura della propria sussistenza. Alcuni hanno in mano un bastone, esile e fragile come loro. 

Foto di Paola Scaccabarozzi

Gli spazi sono enormi, quasi infiniti. E’ una pianoro gigantesco, intervallato da pietraie e ciuffi di erba giallastra, che rende l’incedere di animali e umani un atto sacro. Sullo sfondo regna lui, la montagna magica per chi quelle terre le abita e le calpesta. E’ l’Ol Doinyo Lengai, il monte di Dio per i Masai, il vulcano ancora attivo e mai spento che scruta gli esseri viventi e la terra arida. Il sole arriva da là, cambia colore velocemente perché è l’ora del tramonto. Il bestiame intanto si raduna, si allontana dal monte e la polvere riflette la luce che diventa di tante tonalità diverse, delicate e fortissime. Di un giallo prima smunto, poi arancio e arancio ancora più intenso.

E’ un luogo mistico, ancestrale che racconta e commuove. E’ un posto difficile da abbandonare. Sa di radici, di pietre, di uomini e bestie, di afa torrida, fatica e giorni condivisi che si susseguono e tornano. All’Ol Doinyo Lengai bisogna tornare. Ci sono luoghi da infiniti ritorni perché ti si impregnano addosso. Restano dentro.

Foto di apertura: Luca Catalano Gonzaga

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