L’incontro con gli spiriti della foresta

di claudia
bwiti.

di Alberto Salza – foto di Jorge Fernandez / Alamy Foto Stock

Alla scoperta del bwiti, religione sincretica del Gabon, i cui adepti effettuano viaggi nell’aldilà. Nel cuore della foresta si svolgono le cerimonie di iniziazione e i rituali di purificazione del bwiti, una pratica religiosa – considerata demoniaca dai primi missionari cristiani – che ruota attorno agli effetti allucinogeni provocati dall’assunzione di foglie e radici di una pianta sacra, l’iboga

Nella foresta del Gabon, i germogli della stagione delle piogge traggono il sostentamento dagli alberi morti durante la stagione secca. Allo stesso modo, gli abitanti della foresta vivono tramite le ossa e lo spirito degli antenati. È il meccanismo operativo del bwiti, una pratica religiosa fatta di materia vegetale, di visioni, di adepti e sacerdoti, e di morti ancor vivi.

Sul mio tavolo da lavoro c’è un reliquiario funebre dei Fang, una popolazione che abita il bacino dell’Ogooué, in Gabon. Appare come un cilindro di corteccia che un tempo conteneva un cranio e qualche osso, con la statua del guardiano (byeri) dell’antenato assisa sul coperchio tramite un piolo. Talvolta gli occhi del byeri lacrimano una mistura di: olio di palma; semi della pianta medicinale Ongokea gore; resine varie; pasta di carbone di piante selvatiche. L’essudazione è legata all’alterazione chimica della patina tramite variazione climatica e movimento, e non dipende dalla temperatura. Il fenomeno è simile allo scioglimento del “sangue” di san Gennaro.

Con l’essudazione, la patina raggiunge la giusta luccicanza, quella che scaccia, tramite brillio e riflesso, gli spiriti malvagi che tentano di attaccare, di notte, gli antenati. L’estetica del byeri, così apprezzata dai collezionisti di sculture africane, è ormai simbolica, ma i pericolosi poteri dei crani degli antenati sono ancora così immanenti da trasformare l’insieme in un inestricabile ensemble fisico-spirituale, cui la foresta pluviale fornisce la materia prima.

L’erosione climatica si manifesta particolarmente nel volto e attorno alla bocca del byeri. Il fatto deriva da una qualità del legno (Alstonia congensis): ha proprietà medicinali, al punto che, dalle labbra delle statue, le popolazioni gabonesi staccano sottili schegge per poi masticarle in una sorta di eucarestia da contatto (bocca-statua-ossa) con i morti.

Foto di Steeve Jordan / AFP

Nessuno muore

Nel cosiddetto proto-bantu – da cui discendono le lingue bantu moderne – la parola “eroe” (*-dimo) ha il significato primario di “persona morta”, qualcuno che s’è ormai perduto poiché nessuno lo/la ricorda da vivo/a. In Africa non muore nessuno: se ti comporti bene (da “eroe”) diventi un’autorità, un antenato capace di interferire con i “non-morti”, noi. Convivere con i morti, però, richiede una speciale energia, e quindi un nutrimento apposito. La trasposizione da un mondo all’altro non può che essere di tipo psichedelico, un trip. L’iboga (Tabernanthe iboga, un cespuglio delle Apocynaceae) è il medium psicoattivo tramite cui la comunità del culto bwiti invade il – e si fa possedere dal – mondo degli antenati. L’allucinogeno è assunto tramite la masticazione della radice, una pratica così antica in Africa che se ne trova traccia (alterazione dentaria tipica) nella mummia d’una divinatrice egizia esumata ad Antinoe.

Il consumo dell’iboga a scopo sciamanico è originario delle popolazioni pigmee della foresta, che considerano la loro Madre. Attorno al XIX secolo, i pigmei trasmisero le loro conoscenze ai Pindji e agli Tsogho, coltivatori taglia-e-brucia di lingua bantu. Il culto tramite allucinogeni, basato sul rapporto con la foresta e la “morte apparente” (dalla Madre agli avi), si diffuse rapidamente anche tra i Fang, una popolazione di fabbri, cacciatori, guerrieri e orticoltori arrivata da nord-est a fine Ottocento. Il culto fang degli antenati tramite i byeri utilizzava già un’altra pianta allucinogena, l’alan (Alchornea floribunda, un’euforbiacea di boscaglia aperta). Entrati in foresta, i Fang integrarono il raro alan con l’iboga.

Sacre allucinazioni

Stabilito il contatto con il culto bwiti, dovettero però fare i conti con i missionari che, attorno al 1940, proibirono definitivamente i culti “diabolici” e distrussero gran parte dei cosiddetti “feticci”, byeri inclusi.

Il bwiti “tradizionale” svanì nella foresta, di cui l’iboga è l’icona, mentre i Fang ne elaborarono una versione sincretica a tre ”psico-operatori sacri”: alan, iboga e ostia consacrata. Nel tempio buitista fang (mbandja), essi sono tre cerchi (ekar), fatti di liane (natura) o di ferro (cultura), appesi lungo la trave portante del soffitto. Un palo (akun), dipinto o scolpito con colori e forme della setta, sorregge l’ingresso in qualità di axis mundi, punto di contatto fra sottosuolo, terra e cielo (come per la croce cristiana); lungo il palo si spostano gli spiriti dei morti quando partecipano alle cerimonie con i vivi. La cappella è bipartita tra il mondo reale d’ingresso e l’ultramondo, dove è posto l’altare; la navata sinistra è maschile e connessa alla morte; quella destra è femminile, per la vita. Memento: si entra dalla porta della vita e si esce da quella della morte.

Tutte le numerose sette buitiste (la più diffusa e antica è probabilmente la Dissumba) attribuiscono la scoperta delle proprietà dell’iboga e l’origine del culto a una vedova, Bandzioku, che seguì i dettami dello spirito del marito morto. Per questo venne immolata dal secondo marito: per mezzo di quel sacrificio fu istituito il bwiti. Bandzioku si trasformò nell’arpa a otto corde (ngombi), lo strumento musicale che ne rappresenta la voce in ogni tempio buitista, alla sinistra del palo centrale, il lato maschio-morte.

Viaggi nell’aldilà

Oltre alla musica di arpa, arco a bocca (mongongo) e percussioni, il bwiti si esprime tramite una lingua esoterica, il pope na popé, un miscuglio di pindji, tsogho, fang, e latino liturgico. Ogni comunità bwitiè gerarchicamente strutturata: in cima c’è il nima na kombo; seguono gli officianti (kombo); chi spiega, chi dirige le danze, chi fa rispettare il rituale. Alla base ci sono gli iniziati (bandzi, “coloro che hanno mangiato”), i quali spesso non capiscono il significato delle formule che recitano, come succedeva in Italia al tempo della messa in latino. A latere troviamo le yombo, guide carismatiche delle donne.

Il bwiti si fonda su due rituali principali: le cerimonie notturne (ngozé) e il rito di iniziazione (tobe si). Le ngozé seguono il calendario liturgico cattolico e sono “messe” in cui tutti i partecipanti assumono una dose di radice di iboga, passando tre notti a ballare e cantare. Invece il rito di iniziazione si celebra quando un individuo decide di diventare membro della comunità religiosa; l’iniziando deve ingerire una quantità enorme di iboga, arrivando progressivamente a uno stato di coscienza modificato di lunga durata, durante il quale la sua anima si stacca dal corpo ed «effettua un “viaggio nell’aldilà”; durante la grande visione (yen) l’iniziando contatta entità spirituali che gli rivelano le “radici della vita”» (Samorini, 2010). Un’altra metafora della foresta.

Curiosità estrema

Pigmei, Pindji e Tsogho, le popolazioni di origine del bwiti, dicono: «Iboga e battesimo sono incompatibili». Le sette sincretiche pensano invece che il bwiti sia una religione universale, da esportare in Europa, dove si è perso il vero cristianesimo. I buitisti fang si considerano cristiani, mentre i missionari li hanno sempre visti come drogati posseduti dal demonio. Secondo Isidore Ndjoung, leader buitista e magistrato alla Corte suprema di Libreville: «La Chiesa cattolica è una bella teoria per la domenica; l’ibogaè una pratica per la vita di tutti i giorni. Nella chiesa si parla di Dio; con l’iboga si vive Dio».

La frase non può che attirare frotte di scoppiati. Per giusta cautela (di iboga si può morire), le autorità gabonesi e i ministri del bwiti sconsigliano espressamente la pratica dell’iboga ai non-africani, per intrinseca mancanza di approccio spirituale e rischi per la salute fisica e mentale. Le comunità psichedeliche dell’Occidente, però, tentano di impossessarsi del bwiti come se fosse la pratica para-sciamanica di una spa. Cito da un sito americano: «Ogni nostra cerimonia inizia attraverso il primo portale verso l’ultramondo, il fuoco, il cui fumo serve da pista per l’ingresso e l’assistenza degli spiriti. Favorendo l’introspezione, il fuoco consuma ciò che non ci serve più, mentre impartiamo saggezza totale.

Tra l’altro, i nostri facilitatori discuteranno gli effetti e le esperienze curative della medicina iboga». Gli effetti collaterali potrebbero scoraggiare anche i più coraggiosi: «Avvertirete: senso di euforia; allucinazioni uditive (come se il vicino vi parlasse) e visive (a occhi chiusi e aperti); messaggi intuitivi; fluttuazioni della temperatura corporea e del ritmo cardiaco; blocco delle attività motorie (vi porteremo noi a rilassarvi); luci lampeggianti agli occhi; pensieri sovrapposti (“purga mentale”); vomito, tremori, sudorazione, riso e pianto, iperuresi e altro. Tutto ciò è normale. L’uso di supporti elettronici è vietato». Per passare un po’ di tempo con i morti? Magari con gli antenati, e non per sempre.

Questo articolo è uscito sul numero 1/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.

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