“I neri sono meno intelligenti”: la lunga storia del razzismo scientifico

di claudia

di Stefano Anselmo

Nel 2007 James Watson, uno dei più eminenti scienziati di fama internazionale, scatenò una clamorosa polemica attraverso “The Indpendent”, sostenendo che l’intelligenza dei neri africani è inferiore a quella dei bianchi caucasici. Affermazione che gli costò l’annullamento della conferenza prevista alla Royal Society e le dimissione dal Cold Spring Harbor Laboratory dov’era stato direttore, presidente e rettore fin dal 1968.

Ma la sorte a volte gioca brutti scherzi perché, nel frattempo Watson aveva diffuso su internet il proprio genoma, affinché gli studenti di genetica potessero analizzare il DNA di un genio. Il risultato di tale ricerca, pubblicato pochi mesi dopo dal “Sunday Times” di Londra riportò come lo scienziato che giudica i neri meno intelligenti dei bianchi è molto più nero di quanto si potesse immaginare: mentre il “bianco” ha mediamente un massimo di 1 % di geni di discendenza negro-africana, il DNA di Watson ne rivelò ben il 16% dei geni di questo tipo. Karl Stefansson, direttore del laboratorio, ha così commentato la scoperta: “É stato sorprendente rilevare un risultato simile nel genoma di Watson: un livello del 16 % di questi geni induce a credere che lo scienziato abbia avuto un bisnonno nero africano”.

Di più: il Premio Nobel italiano per la medicina Rita Levi Montalcini, interpellata a tale proposito, rispose: “Macché genetica, è l’ambiente. Il fatto che una persona sia nera non conta niente, il cervello è uguale se non migliore del nostro;».E André Gide, premio Nobel letteratura chiosò: «Meno intelligente è il bianco, più gli sembra stupido il nero».

Ma questa non è che la punta dell’iceberg di questa becera forma di razzismo in quanto, all’interno del nostro modo di sentire, ha serpeggiato per troppo tempo (parliamo di secoli) l’idea l’intelligenza dei Neri africani fosse inferiore,

Rita Levi Montalcini

Le cause di questa credenza, vanno ricercate nelle strategie messe in atto dal “sistema” per diffamare e disumanizzare i neri africani, sempre finalizzate a incrementare efficacemente l’economia del momento: più anticamente, con la schiavitù. Poi, dopo aver stabilito con demente scientificità la suddivisone in razze (le teorie furono sempre discordanti: si andò dalle 3 a più di 200), venne anche stabilita la superiorità di quella ariana (di pretesa provenienza asiatica) e la conseguente inferiorità delle altre; l’ultima della lista, la nera: primitiva e congenitamente limitata, incapace di evolversi senza il “generoso” aiuto degli Europei ariani motivazione atta a giustificare ipocritamente il sopruso coloniale.

Furono molti i sostenitori illustri di questa teoria. Cominciando dallo svedese Linneo che nel saggio del 1758 Systema Naturae distinse gli uomini in europei (belli, muscolosi e “governati dalle leggi”), americani pellerossa (fondamentalmente collerici), asiatici (di pelle gialla e “malinconici”) e africani (neri, deboli e lenti).

Il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel sosteneva che la civiltà si sviluppasse solo in climi temperati. Alla stessa maniera la teoria di Montesquieu sull’influenza climatica sulla morale e sulla legge culturale giustificò “scientificamente” l’idea di inferiorità razziale del negro rispetto al bianco: “l’Africa non è parte della storia del mondo”; sostenne inoltre che i negri non avevano “senso della personalità, in quanto il loro spirito dorme, rimane affondato in se stesso, non fa avanzare ed è quindi parallelo alla massa compatta e indifferenziata del continente africano.

Kant, altro filoso tedesco, distinse quattro razze in base al colore della pelle: bianca, negra, mongolica o calmucca, indù o indostanica. Egli attribuiva a ciascuna “razza” precisi connotati intellettuali e morali: asseriva infatti l’inferiorità dei neri, perché «i negri d’Africa non possiedono per natura alcun sentimento più elevato della stupidità», e «il negro si colloca infatti al livello più basso tra quelli individuati in termini di diversità razziali».

Quasi contemporaneamente, Winckelmann1 scrisse circa gli antichi Egizi: Come si può trovare anche un barlume di bellezza nelle loro figure, quando tutte o quasi tutte le raffigurazioni si ispiravano alle forme degli Africani? Ossia avevano come loro stessi, labbra tumide, menti piccoli e sfuggenti, profili appiattiti e incavati (…) avevano spesso nasi piatti e carnagione scura…

Sempre nel Secolo dei lumi, il padre fondatore degli USA Benjamin Rush portò avanti la teoria secondo la quale tutti gli uomini in origine fossero bianchi, discendendo da Adamo ed Eva, e che i neri soffrissero di una strana malattia, il negroidismo, responsabile della loro pelle e punto di partenza per la ricerca di somiglianze con le scimmie, di uguale provenienza africana.

Nel 1863 Carlo Piaggia affermò che “erano per metà uomini e per metà cani con coda a ventaglio; che usavano grasso umano per condimento”.

E sulle regioni che esplorò, John Speke scrisse ciò che tutti gli Europei si aspettavano compresi i finanziatori della sua spedizione esplorativa: “Insomma, l’Africano non è in grado di uscire dall’inferiorità in cui vive. (…) mai si risolleverà senza che un popolo europeo non gli doni la tutela di un governo simile a quello che l’Inghilterra ha stabilito nelle Indie.2 Franz Stuhlmann, uno degli esperti naturalisti più considerati dell’amministrazione tedesca, nel 1910 affermò, a proposito dell’artigianato dell’Africa dell’Est: “bisognerà sempre domandarsi circa ogni traccia di civiltà africana, se non venga da fuori, e cioè dall’Asia”.

Nell’Enciclopedia Illustrata dei Ragazzi,3 un titoletto domanda: “Perché gli abitanti dei paesi caldissimi sono neri?” La risposta parte dal presupposto che l’uomo sia stato creato bianco (quindi europeo) e poi si sia degenerato scurendosi per adattamento climatico, formando una razza completamente a sé, cioè ben distinta da quella caucasica: “Probabilmente bianchi in origine, hanno scurito la pelle per effetto del sole e propagati e moltiplicati i figli dei figli di quelli che avevano la pelle più nera e resistenza fisica più tenace al calore e al clima, hanno formato una razza completamente a sé”.

Ancora negli anni ’60, Epoca, prestigioso settimanale di informazione e cultura, un titolo dal piglio molto serioso sancisce: “Non confondiamo razze e razzismo” e nel sottotitolo precisa: “L’inferiorità intellettuale dei negri è provata, mai bianchi hanno il dovere di trattarli con giustizia e carità!” (Numero del 16 ottobre 1960; pag. 22). Fino ai primi Anni ’70, gli studi sull’Africa furono fortemente influenzati dal lavoro di Carleton Coon4, che utilizzava presunte gerarchie di inferiorità e superiorità di razza per catalogare il genere umano. Negli States il testo di Coon venne accolto con riconoscenza, dai teorici dell’Apartheid come George Wesley e Carlton Putnam che lo utilizzarono per sostenere che ai Neri americani, essendo meno evoluti, non possono essere riconosciuti gli stessi diritti dei Bianchi.”

Su questo dibattito antropologico, la Chiesa, giocò un ruolo fondamentale. I fautori dei racconti biblici sulla dispersione dei popoli (Babele, Kam, ecc), si sentivano in dovere di rispondere alle sfide della Scienza. Questo sforzo viene chiaramente documentato da varie pubblicazioni a partire dal 1880: dai manuali del sulpiziano5 F. Vigouroux, fino al suo “Dictionaire de la Bible” del 1926.

Tuttavia questi razzisti sono sfortunati perché proprio i 4 ragazzi col più alto QI sono neri. Ramarni Wilfred, britannico, originario dell’Africa anglofona, ha dato un valore di 162, cioè un QI più alto di quello di Einstein, Hawking e persino di Bill Gates. A 10 anni scrisse un articolo sulla filosofia dell’equità, e il suo punteggio insolitamente alto lo qualificò per sostenere un test del QI alla Birkbeck University.

Alannah George, una studentessa di quattro anni di origine africana, è il secondo membro più giovane del Mensa del Regno Unito con un QI di 140. È appassionata di parole e numeri e ha imparato a leggere da sola prima ancora di iniziare la scuola.

Jeramy Botwe ghanese, 17 anni, ha fatto domanda in 15 università e ha partecipato a tutte, tra cui 8 Ivy League, titolo che accomuna le otto più prestigiose ed elitarie università private U.S.A. e Shania Muhammad: a 16 anni ha già conseguito tre lauree ed è la più giovane insegnante delle elementari della sua contea.

1 Winckelmann, citato da Sander L. Gilman, in “On blackness without Blacks: essays on the image of the Black in Germany”; 1982, pag 26. Johann J.Winckelmann (1717 – 1768): è considerato il fondatore dell’archeologia moderna grazie alla sua Storia delle arti del disegno presso gli antichi, dove ricostruisce la storia dell’arte antica in base alle scoperte archeologiche.

2 J. H. Shelke: Les sources du Nil trad Paris, 1865, p.76.

3 Ediz Curcio Editore, pubblicata intorno agli Anni ’50. – pag. 951.

4 Carlton Stevens Coon (19041981): etnologo e antropologo statunitense. Iniziò ad applicare le teorie darviniane della selezione naturale per spiegare le differenti caratteristiche fisiche delle razze. Coon studiò gli albanesi (1930), gli etiopici, i nordafricani e i popoli dei Balcani. Fu l’autore dell’ipotesi multigenica pubblicata in The Origin of Races e sostenne che gli Africani sarebbero indietro di 200.000 anni nell’evoluzione («the Negro is 200,000 years behind the White race on the ladder of evolution»). È altresì nota anche la sua connessione con il movimento segregazionista americano del Sud.

5 Sulpiziano: membro della Compagnia dei preti di San Sulpizio, fondata a Parigi nel 1642 da Jean-Jacques Olier.

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