Gli angeli del Sahara

di claudia

di Marco Trovato – foto di Sven Torfin / Panos

L’odissea dei migranti nel deserto immenso, soccorsi dagli attivisti di Alarme Phone Sahara. Sono decine di migliaia i migranti e i profughi che ogni anno tentano di attraversare l’immenso Sahara. «In tanti finiscono per perdersi tra le sabbie, abbandonati nel deserto dai trafficanti o respinti in mezzo al nulla dalle polizie di frontiera», denuncia l’organizzazione.

Le vittime del deserto non fanno notizia. Eppure, secondo l’ultimo rapporto del Mixed Migration Centre – rete globale d’informazione sulle migrazioni affiliata al Consiglio Danese per i Rifugiati –, il numero di quelli che ogni anno perdono la vita nel Sahara sarebbe superiore a quello di quanti muoiono nel Mediterraneo. «Ma è impossibile sapere esattamente quanti spariscono sulle rotte sahariane», dice Moctar Dan Yayé, portavoce di Alarme Phone Sahara, servizio di soccorso gestito da attivisti africani ed europei. Nel 2023, almeno 350.000 persone dirette a nord sono transitate da Agadez, in Niger, dove ha sede l’organizzazione. «È un flusso continuo, inarrestabile», spiega l’uomo, avvolto in una sciarpa bianca, appena rientrato a Niamey da una missione nel deserto del Teneré.

«Fuggono da guerre o persecuzioni, dalla fame e dall’insicurezza. Viaggiano stipati su furgoni con poche scorte d’acqua. Vengono dal Sahel, dall’Africa occidentale, dal cuore del continente». Della loro sorte sappiamo pochissimo.

Il film di Matteo Garrone, Io Capitano, ha mostrato il loro tormentato viaggio. Che non sempre è a lieto fine. «In tanti finiscono per perdersi tra le sabbie, abbandonati da trafficanti privi di scrupoli o respinti in mezzo al nulla dalle polizie di frontiera». Come quella donna e la sua bimba morte di sete nel deserto tra Libia e Tunisia. La foto che le ritraeva esanimi a terra ha scosso l’opinione pubblica. Pochi giorni di indignazione, poi il silenzio e l’indifferenza son tornati ad avviluppare le tragedie del Sahara. E il numero dei morti sarebbe ancor più spaventoso se non ci fossero gli angeli del deserto di Alarme Phone Sahara.


Come funziona Alarme Phone Sahara? Come siete organizzati?

La sede è in Niger, ma il progetto è transnazionale e coinvolge numerosi attivisti dell’Africa occidentale, del Maghreb e anche dell’Europa, soprattutto in Germania, Francia e Austria. La nostra organizzazione mira a difendere le persone in movimento. Gli obiettivi fondamentali sono la sensibilizzazione e il soccorso, ovvero il salvataggio di chi rischia di perdere la vita nel deserto. Documentiamo anche gli abusi e le violazioni dei diritti umani commessi lungo le rotte migratorie. La nostra finalità è innanzitutto evitare nuove sciagure e al contempo informare l’opinione pubblica. Perché il deserto i suoi morti li ingoia. Non come il Mediterraneo, che restituisce i cadaveri di chi annega. Chi muore nel deserto, la sabbia, dopo un po’, con il vento seppellisce il suo corpo e non ne resta traccia.

In quanti sfidano il Sahara?

Abbiamo solo stime, dell’ordine delle centinaia di migliaia. È impossibile conoscere il numero esatto perché la legge nigerina in materia migratoria, entrata in vigore nel 2015 (abrogata solo di recente dalla giunta militare salita al potere a Niamey lo scorso luglio, NDR), ha criminalizzato le persone in movimento, con il risultato che il numero dei dispersi è aumentato enormemente. Oggi i migranti non seguono più i percorsi noti, le vie principali più battute, ma intraprendono itinerari più lunghi e pericolosi per evitare i posti di blocco. La legge, tanto cara all’Unione Europea, non ha affatto diminuito i flussi, ha solo reso più invisibili e vulnerabili coloro che attraversano il Sahara. I numeri ufficiali sono diminuiti, certo, ma semplicemente perché gran parte dei migranti sfugge ai controlli.

Che cosa accade quando qualcuno in difficoltà chiama il vostro numero di emergenza?

Quando qualcuno telefona (+227 89983339 o +227 83446534), cerchiamo anzitutto di individuare da dove sia partita la richiesta. Per le ricerche coinvolgiamo volontari, autorità locali, militari. Ma il deserto è vastissimo e la copertura telefonica non è ampia. Ci sono persone in pericolo di vita, disperate, senza più forze, moribonde o abbandonate, che non riescono a chiamare il nostro numero.

Senza la ricezione di un Sos come riuscite a intervenire?

Abbiamo creato una rete di “informatori”, “sentinelle”, lungo le principali rotte sahariane. In ogni villaggio e piccola oasi, sulle piste verso l’Algeria o la Libia, ci sono volontari che comunicano tra loro e con la sede operativa il passaggio dei migranti. Riusciamo così a monitorare i movimenti da un punto a un altro del deserto e ci possiamo accorgere se c’è qualcosa che non va: gente che è rimasta indietro o si trova in difficoltà. I volontari conoscono bene la propria zona, pertanto in caso di emergenza si attivano subito. Possono condurre i migranti al pozzo più vicino per dissetarsi, o inviare meccanici per aggiustare un mezzo in panne.

Quante persone avete soccorso?

Difficile dare un numero esatto. Comunque tantissime. Fornendo loro soccorsi d’emergenza ma anche assistenza sanitaria, un riparo per riposarsi, punti di ristoro. Ogni anno dall’Algeria le autorità di frontiera respingono non meno di 20.000 persone. Sono centinaia quelle abbandonate ogni settimana in balia del deserto. Dopo essere stati trascinate in centri di detenzione, espropriate di tutti i loro beni e aver subito i peggiori abusi, vengono lasciate in mezzo al nulla, a 15 chilometri da Assamaka: un luogo chiamato “Punto zero”, segnato da una stele di metallo.Tra i respinti, anche malati, donne, bambini o donne incinte, feriti. Noi andiamo a salvarli. Ogni volta che c’è un respingimento, inviamo mezzi per raccogliere chi non è più in grado di camminare. È un flusso costante, irrefrenabile. Impossibile tenere il conto dell’enorme numero di vite salvate dalla morte.

Nelle vostre attività di soccorso il fattore “tempo” è cruciale, vitale…

Le racconto un episodio di poche settimane fa. Faceva molto caldo. In simili condizioni bastano poche ore per morire, se non si ha acqua da bere. La morte per disidratazione è terrificante. Pertanto ci siamo allarmati nel ricevere una richiesta di soccorso da un camionista diretto in Libia, il cui mezzo stipato di migranti si era guastato in una zona remota, nei pressi di due piccoli villaggi nigerini, Segedin e Têt, molto lontani dalla strada principale. I nostri volontari si sono attivati subito, diverse pattuglie hanno setacciato il territorio. L’Sos era giunto alle 10, le operazioni di ricerca iniziarono un’ora dopo. Il camion è stato trovato poco prima del tramonto. Fortunatamente la gente era ancora viva. Avessimo ritardato solo di poche ore, non ci sarebbe stato più nulla da fare.

Qual è il vostro raggio di azione? Quanta porzione di deserto riuscite a coprire?

Veniamo contattati, anche tramite i nostri canali social, da ogni parte del deserto. A volte dalla Libia riceviamo messaggi di persone che ci chiedono semplicemente di avvisare a casa che ce l’hanno fatta, che sono riusciti ad attraversare il deserto. Altre volte ci sono familiari che chiamano dai Paesi di origine, dall’Africa occidentale, per avere notizie di loro cari scomparsi. Andiamo a cercarli, ma spesso, purtroppo, non possiamo che recuperarne i corpi. Quando possibile, effettuiamo l’identificazione dei morti e informiamo le famiglie. Anche questo è importante: restituire le spoglie perché i parenti possano avere una tomba su cui piangere.

I recenti colpi di stato nel Sahel hanno portato regimi militari al potere: in Niger, Burkina Faso, Mali. L’atteggiamento antioccidentale dei golpisti, che hanno minacciato l’allentamento dei controlli alle frontiere, ha contribuito all’aumento dei flussi migratori?

Ad alimentare le migrazioni non sono i golpe, ma le ragioni che hanno originato i colpi di stato. Anzitutto la questione dell’insicurezza. Il dilagare del terrorismo e il moltiplicarsi delle bande armate hanno contribuito allo sfollamento delle popolazioni. Mali e Burkina Faso, per esempio, sono i Paesi che negli ultimi anni hanno registrato il maggior numero di sfollati, una parte dei quali, non vedendo prospettive di futuro, decide di partire per il Maghreb o l’Europa. Ho appena incontrato dei maliani respinti dall’Algeria: erano fuggiti dai loro villaggi dopo raid terroristici che avevano seminato morte e distruzione. Le cause delle migrazioni non sono i generali golpisti ma i problemi che attanagliano il Sahel e l’Africa.

Dall’altra parte del deserto, però, l’odissea dei migranti non finisce…

Già. La situazione in Libia è ben conosciuta, sappiamo cosa avviene nei lager in cui vengono reclusi migranti, richiedenti asilo, profughi… Anche la Tunisia è diventata un inferno per chi arriva dall’Africa nera: dal febbraio 2023, coi proclami razzisti del presidente tunisino Kaïs Saïed, il clima nel Paese si è avvelenato. Abbiamo registrato numerosi casi di migranti trattati in modo disumano dalle autorità tunisine, picchiati persino da semplici cittadini, soprattutto nelle località al confine con la Libia. Anche le autorità libiche hanno iniziato a respingere le persone, abbandonandole nel deserto e provocandone la morte di sete. Questo è responsabilità degli Stati africani. La Libia, certo, è un Paese fuori controllo, ma la Tunisia ha un governo consolidato che agisce in questo modo.

Alarme Phone Sahara ha una finalità umanitaria e solidaristica, ma anche di denuncia delle politiche migratorie ispirate dall’Ue…

Il nostro approccio è sempre umanitario, perché difendiamo i diritti fondamentali delle persone. Tra cui il diritto a migrare. La nostra filosofia è: “liberi di andare, liberi di restare”. Ogni essere umano dovrebbe avere gli stessi diritti o la stessa libertà di muoversi da un punto a un altro di una mappa. Ma oggi solo una piccola parte della popolazione mondiale, la più privilegiata, può farlo senza problemi. I giovani africani non hanno questa fortuna. L’Europa appare come una fortezza. Noi critichiamo l’approccio dell’Ue sulle migrazioni perché è basato solo sull’aspetto della sicurezza. Bruxelles condiziona i propri aiuti allo sviluppo, piegando i governi africani all’accettazione della sua politica migratoria, imponendo ad alcuni Paesi di adottare misure per contrastare la mobilità verso nord. Ma nessuno dovrebbe rischiare di perdere la vita semplicemente perché sta cercando di spostarsi. I governanti sono complici di queste immani tragedie.

Questo articolo è uscito sul numero 2/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.

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