L’Africa nel pallone

di claudia

di Alex Čizmić

Fucina di campioni e di favole sportive: il calcio accende i sogni di tutta l’Africa. Abbiamo indagato su come sta cambiando il calcio al di là del Mediterraneo, per raccontare sogni e potenzialità di un continente che vuole giocarsi un ruolo da protagonista nello sport più popolare al mondo.

Il calcio non è solo lo sport più popolare del continente africano, ma è anche il suo più grande unificatore culturale. Nient’altro aggrega le persone da Ras ben Sakka in Tunisia al Capo di Buona Speranza in Sudafrica come la palla rotonda. Il calcio in Africa non è solo sport e divertimento. È anche, e soprattutto, una prospettiva diversa da cui vedere, o immaginare, il proprio futuro. È seguendo questo miraggio che milioni di giovani africani si danno appuntamento ogni giorno in campi polverosi e pieni di buche. Indossano scarpini sfondati e magliette sdrucite. Rincorrono palloni malconci e inseguono sogni di gloria.

Giocatori amatoriali e atleti professionisti, tifosi fanatici e spettatori neutrali, proprietari di ristoranti e venditori ambulanti, emittenti e giornalisti: un intero ecosistema culturale è costruito attorno al calcio e da esso è governato. Lo dimostrano in particolare i numeri dell’ultima edizione della Coppa d’Africa disputata a gennaio e febbraio in Costa d’Avorio: più di 2 miliardi di appassionati hanno potuto collegarsi in diretta tv grazie agli accordi firmati in 180 paesi dalla Confederazione africana del calcio (Caf) e oltre un milione di persone si sono riversate negli stadi che hanno ospitato la competizione. Per Abidjan e le altre città ivoriane sono transitati circa 6000 professionisti della comunicazione provenienti da più di settanta paesi. Sono stati avvistati anche turisti o amanti del calcio europei, come il tifoso del Brighton and Hove Albion Football Club che ha viaggiato per quasi cinquemila chilometri per assistere alla finale del torneo e ammirare le gesta di Simon Adingra, il suo calciatore preferito. È un aneddoto impensabile fino a qualche anno fa, ma la Coppa d’Africa, che testimonia a cadenza biennale il progresso del calcio africano, ci ha rivelato la sua crescita esponenziale in quanto prodotto appetibile per un pubblico mondiale.

L’exploit della Coppa d’Africa

GlobalData, una società con sede a Londra che si occupa di ricerche di mercato, stima che la Caf guadagnerà circa 75 milioni di dollari dalle sponsorizzazioni della Coppa d’Africa 2023, un’edizione che ha vantato ben diciassette partner commerciali tra cui lo sponsor principale Total Energies, Orange e Unilever. Lo spettacolo in campo, poi, non ha tradito le attese, nonostante le prestazioni dei calciatori di punta del panorama africano, quali Victor Osimhen, Sadio Mane, Mohamed Salah e Achraf Hakimi, siano state complessivamente deludenti. La media di 2,47 gol a partita registrata durante la fase a gironi e la rocambolesca fase a eliminazione diretta hanno donato a chi ha seguito la competizione una dose di emozioni a tratti complicata da gestire.
Tutte le nazionali, anche le meno quotate, hanno dato del filo da torcere alle selezioni più titolate. Il livello della classe medio-bassa del calcio africano si è innalzato. Ciò si spiega, in parte, col fatto che il 60% dei 628 calciatori presenti in Costa d’Avorio si è formato o milita in Europa e che duecento sono addirittura nati al di fuori del continente.

In Italia, seppur il numero dei convocati alla Coppa d’Africa sia sceso da 25 a 21, è aumentata l’importanza che questi calciatori rivestono nei propri club. Ai nastri di partenza dell’edizione 2023 la Serie A presentava due campioni d’Italia (entrambi giocano nel Napoli): il nigeriano Victor Osimhen e il camerunese André-Frank Zambo Anguissa. Di contro, solo il 26% dei selezionati gioca in Africa. Sempre più federazioni, infatti, vanno alla ricerca dei migliori rappresentanti delle diaspore africane e sempre più calciatori nati e/o cresciuti all’estero sono propensi ad accettare per senso di appartenenza o dopo aver constatato la maggior professionalità delle nazionali. Il resto della spiegazione risiede nei maggiori investimenti all’interno del continente. E non è un caso che quella che è stata definita da più parti la miglior Coppa d’Africa di sempre sia coincisa con l’exploit della Coppa d’Africa dal punto di vista commerciale.

Luanda, Angola, 2009. © Marco Trovato UN PALLONE A NOLEGGIO

Panchine sempre più africane

Sebbene il continuo aumento di fondi a disposizione delle singole federazioni, specie quelli elargiti dalla Fifa e più recentemente dell’Arabia Saudita, sia primariamente un modo per poter mantenere consenso e appoggio politico da parte dei 54 paesi che compongono il continente, va da sé che se utilizzati adeguatamente possono accelerare lo sviluppo dei movimenti calcistici locali.
In special modo dei protagonisti in campo: tecnici e calciatori. Per quanto riguarda i primi, i dirigenti africani sembrano aver compreso che è sufficiente dare agli allenatori autoctoni od originari del Paese in cui allenano una chance per far sì che possano dimostrare il loro valore. L’anno scorso lo svizzero Marcel Koller, allenatore dell’Al Ahly, ha interrotto una striscia di sette vittorie consecutive di tecnici africani in Caf Champions League. Per la terza volta consecutiva la Coppa d’Africa è stata vinta da un ct originario del paese e per la seconda volta di fila il numero dei tecnici africani è stato superiore a quello dei colleghi stranieri: 15 contro 9 in Camerun e 14 contro 10 in Costa d’Avorio. La certificazione della bontà dei mister africani agli occhi del mondo era arrivata anche ai Mondiali 2022, in cui per la prima volta tutte e cinque le nazionali partecipanti sono state guidate da ct autoctoni.

Il mercato dei baby campioni

A proposito dei calciatori, invece, la questione è più complessa e ruota attorno alle note accademie, che possono essere gestite da attori locali, club europei o soggetti privati. In alcuni casi, come quelli di Asec Mimosas in Costa d’Avorio e Paradou in Algeria, le accademie partecipano ai campionati senior e/o giovanili dei paesi in cui hanno sede e contribuiscono al miglioramento delle competizioni locali anche attraverso il prestito o la vendita dei propri talenti ad altri club del campionato. In altri casi, come quello della Generation Foot in Senegal, pur prendendo parte ai tornei locali, le accademie sono effettivamente delle succursali di club europei e inviano loro le stelle più luminose una volta pronte. Infine, c’è il caso delle accademie private, diffuse principalmente in Nigeria e Ghana, che considerano lo sviluppo di giovani calciatori un business. Non sono affiliate alle leghe nazionali e disputano solo tornei amichevoli dedicati alle categorie giovanili. L’obiettivo è trovare i diamanti più preziosi per poterli sgrezzare e rivendere al miglior offerente. Un approccio disumanizzante adottato anche dai falsi agenti che ogni anno adescano circa 15 mila giovani aspiranti calciatori, truffandoli e abbandonandoli all’ignoto dopo aver intascato la somma richiesta. Anche per questa ragione è essenziale potenziare il calcio locale ed evitare che questi ragazzi cadano vittime di persone senza scrupoli.

Mauritania e Tanzania, modelli vincenti

Fin qui, ad approfittare dei fondi di cui sopra sono state principalmente le nazioni meno blasonate, quelle che più di tutte hanno bisogno di una spinta esterna per poter uscire dall’oblio. L’esempio più citato è quello della Mauritania, che nell’ultimo decennio ha creato una squadra talmente competitiva da qualificarsi alla Coppa d’Africa per tre volte consecutive, dal 2019 al 2023. Prima non ci era mai riuscita. Oltre a dare spazio ai migliori talenti di origine mauritana sparsi per il mondo, la federazione ha investito gli 11 milioni di dollari ricevuti finora dalla Fifa nell’aumento delle infrastrutture calcistiche di qualità e nello sviluppo del calcio giovanile.

Per accrescere l’appetibilità dei campionati locali, però, è necessario investire anche nei club. Sotto questo aspetto il modello da seguire è la Tanzania, che quest’anno, per la prima volta, ha qualificato due squadre ai quarti di finale della Champions League. Si tratta di Simba e Young Africans, le due società più importanti di Dar es Salaam che in questa stagione hanno contribuito a mettere in discussione il dominio delle squadre nordafricane nel torneo continentale più prestigioso. Come spesso accade, un risultato eccezionale ripetuto nel tempo è frutto di un maggior esborso economico, altrimenti sarebbe complicato per qualunque squadra mantenere i migliori calciatori e rafforzare continuamente la rosa.

Qui entrano in gioco i proprietari di Simba e Young Africans che ultimamente hanno pompato poco più di 2 milioni nelle casse dei propri club. Nel 2021, inoltre, la lega tanzaniana ha chiuso un accordo decennale di più di 80 milioni per i diritti tv. Di conseguenza, la valutazione del campionato è salita a circa 108 milioni e la maggior quantità di soldi ha consentito di trasformare la Ligi Kuu Bara – il massimo campionato tanzaniano – nel torneo più ambito dell’Africa orientale, quello in cui i calciatori dei Paesi confinanti vogliono trasferirsi per guadagnare di più e provare a fare il salto verso campionato ancora più seguiti.

Le ambizioni marocchine

Chi non ha squadre ai quarti di Champions ma, come la Tanzania, sta guidando la transizione del calcio africano da sport a prodotto commerciale è il Marocco. Rabat ha investito pesantemente nell’edificazione di nuove infrastrutture. Negli ultimi anni sono sorte centinaia di stadi grazie a un budget di oltre 160 milioni. Non è una coincidenza, dunque, che il Marocco sarà tra i paesi che ospiteranno i Mondiali 2030 (oltre alla prossima edizione della Coppa d’Africa, nel 2025) e che sia spesso la soluzione di scorta per nazionali che non possono disputare le proprie partite in casa. Gli altri paesi economicamente più potenti, invece, non stanno tenendo il passo del paese nordafricano. Persino il Sudafrica, che vanta il campionato più ricco, capace qualche stagione fa di sfondare il muro dei 60 milioni di ricavi, è fermo ai fasti dei Mondiali 2010 ospitati in casa.

La Superlega lanciata ad ottobre 2023 potrebbe elevare la competitività dei migliori club africani attualmente in decadenza, ma rischia di smantellare gradualmente le coppe già esistenti e lasciare il resto delle società allo sbaraglio. La Coppa d’Africa, invece, resta il motore trainante dell’intero movimento continentale e potrebbe essere la chiave di volta di uno sviluppo più significativo. Attirando più sponsor ed emittenti televisive per le edizioni future, infatti, la Caf potrebbe negoziare accordi commerciali più redditizi di cui beneficerebbero tutti, dalle federazioni fino ai club.

Questo articolo è uscito sul numero 3/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.

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