a cura di Stefania Ragusa
Quando si nomina Binyavanga Wainaina, alla maggior parte di noi (e con noi intendo persone che interessate alle arti e alle culture africane) viene in mente il famoso pamphlet del 2005 How to write about Africa. Si tratta di un testo brillante e spietato, tradotto in oltre venti lingue, che raccoglie una serie di prescrizioni paradossali volte a fare emergere banalità e sciocchezze ricorrenti nella rappresentazione del continente. Wainaina, che è mancato nel 2019, ha però prodotto molti altri testi, altrettanto sagaci e incisivi. Il volume Come scrivere dell’Africa (a cura di Achal Prabhala, 66thand2nd, 2024, pp. 417, €18) raccoglie il meglio della sua produzione letteraria, a partire dal primo racconto, pubblicato nel 1996 su un sito internet e a lungo considerato perduto.
Questa silloge, che si conclude con il famoso pamphlet, permette al lettore di apprezzare l’ironia sfaccettata ma sempre aspra di questo scrittore e di scoprire lati inediti della sua storia. Per esempio, le aspirazioni “borghesi” che dal Kenya lo avevano condotto a vent’anni in Sudafrica, le prime esperienze imprenditoriali nella ristorazione e l’interesse per il cibo del continente. I personaggi dei suoi racconti, osserva Prabhala, «si fanno strada nel mondo con tutte le contraddizioni umane possibili», sottraendosi a quegli schemi che l’editoria occidentale sembra volere imporre agli autori africani. Wainaina non va controcorrente, si mette di lato e segue il suo percorso evitando del tutto la marea. Anche e soprattutto quando critica con singolare schiettezza la retorica occidentale, dagli aiuti umanitari al “gonzo” orientalismo di Kapuściński.
In coincidenza con la pubblicazione del volume, 66thand2nd propone anche una nuova edizione del memoir di Wainaina Un giorno scriverò di questo posto (pp. 291, €18).