Gli aggressori coinvolti nell’attacco di mercoledì al palazzo presidenziale a N’Djamena, in Ciad, miravano a uccidere il capo dello Stato. È quanto denunciato dallo stesso Mahamat Idriss Déby su Facebook.
“Gli aggressori di questo vano tentativo miravano a vetrificarmi, ma sono stati vetrificati dal valore, dalla vigilanza e dal coraggio della guardia presidenziale”, ha scritto il presidente, che dopo l’attacco, ha ricevuto numerose dichiarazioni di sostegno, inclusi da politici ciadiani come l’ex primo ministro Albert Pahimi Padacké e il suo partito Rndt-Le Réveil o l’Rdp dell’ex ministro Mahamat Allahou Taher, ma anche dall’attuale capo del governo, Allamaye Halina, che ha invitato il popolo ciadiano a rimanere unito.
Da ieri il governo afferma di aver ripreso rapidamente il controllo della situazione. Diciotto dei 24 attentatori sono stati uccisi, gli altri sei sono stati fatti prigionieri, ha spiegato il ministro degli Esteri e portavoce del governo, Abderamane Koulamallah. “Le persone vive di questo attacco hanno iniziato a parlare. È un mucchio di fantocci. Non è davvero un attacco grave. È un attacco che non avrebbe mai potuto mettere a repentaglio la sicurezza dell’istituzione presidenziale né quella del governo”, ha insistito Koulamallah.
Nel frattempo, fonti di stampa locali riferiscono che il bilancio dell’attacco è salito a 20 vittime con la morte di un secondo soldato. Il pubblico ministero presso l’alta corte di N’Djamena ha affermato di aver aperto indagini per “crimini di omicidio, aggressione volontaria e percosse, tentato attacco alle istituzioni statali, all’ordine costituzionale, alla sicurezza dello Stato, cospirazione contro lo Stato e partecipazione a un movimento insurrezionale”. Questi atti comportano pene che vanno dai 15 anni di carcere all’ergastolo.
L’accusa intende individuare e perseguire “i mandanti, autori, coautori e complici” dell’attacco dell’8 gennaio da quello che il pubblico ministero definisce “un gruppo di malintenzionati”.