31/05/13 – Egitto – Silicon Valley Suez, Paese diviso su progetto Morsi

di AFRICA

 

Una zona industriale supermoderna sulla sponda occidentale del Canale di Suez; le province di Port Said, Ismailia e Suez trasformate in centri di tecnologie, commerci, comunicazioni e turismo (con una ‘Silicon Valley’ intorno a Ismailia); un nuovo tunnel sotto il Canale, e la creazione di una universita’ della tecnologia nell’area. E’ il nuovo progetto faraonico appena avviato dal presidente egiziano, Mohamed Morsi, per ”dare vantaggi e sviluppo all’Egitto e al Sinai” (in teoria potrebbe far moltiplicare in termini esponenziali gli attuali introiti del Canale), ma che non raccoglie consensi generali, anche se riprende un’idea ventilata e studiata negli anni scorsi dal precedente regime.

Una delle quattro principali fonti di entrate per il bilancio statale (insieme al petrolio, alle rimesse degli emigrati ed al turismo), la via d’acqua che dalla fine dell’800 unisce il Mediterraneo al Mar Rosso, dividendo l’Egitto dalla penisola del Sinai, divenuta cosi” territorio dell’Asia e non piu’ africano, ha visto ridurre le sue capacita’ di reddito dopo la ‘primavera araba’ meno degli altri tre cespiti e ha continuato a funzionare senza grandi problemi anche dopo il 25 gennaio 2011, data dell’inizio della ‘rivoluzione’ che porto’ dopo 30 anni alla deposizione di Hosni Mubarak. Enfatizzato nella campagna elettorale di Morsi durante la sua corsa alla presidenza l’anno scorso, e punto rilevante del suo ‘Nahda Project’ (progetto di Rinascita), per rimettere in sesto l’ Egitto, il piano per lo sviluppo delle sponde del Canale include lavori molto importanti e costosi: a est di Port Said sse’ prevista la costruzione di un molo lungo 1.200 metri e largo 500, con infrastrutture che garantiscano servizi di alta qualita’ per le navi. Nella zona industriale dovrebbero insediarsi fabbriche per la produzione di macchinari, trattori, merci di consumo, fertilizzanti, tappeti, tessuti, e materiali per l’edilizia. Non ci sono indicazioni chiare, ma l’area di intervento va dall’est di Port Said, al nordovest del Golfo di Suez, al porto di Ain Sokhna, alla valle tecnologica di Ismailia, includendo non precisate ”altre zone nuove”. ”E’ vero, sul piano economico questo piano e’ molto promettente per l’Egitto”, valuta il docente di scienze politiche ed economiche Fakhri el Fekki, secondo il settimanale Ahram Hebdo – perche’ ”potrebbe far salire gli introiti dall’attivita” del Canale a 100-120 miliardi di dollari l’anno, circa 20 volte superiori a quelli attuali”. Ma ”sul progetto non c’e’ stato alcuno studio preciso”, aggiunge, considerando che: ”si pensa a ricorrere a grandi ditte straniere. Con queste premesse e l’attuale crisi economica del paese, c’e’ il rischio consistente che poi non si riesca a pagare le spese”. Per il diritto internazionale quelle imprese ”avranno diritto ad un usufrutto sse potranno comprare alcune parti del nuovo progetto”.

Obiezioni vengono sollevate anche sul piano giuridico: per il piano e’ stato elaborato un progetto di legge che consegna al solo presidente della repubblica la definizione delle frontiere dell’area interessata. Inoltre un Organismo di sviluppo del Canale dovra’ essere creato entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge. Questo corpo – sottolinea l’esperto di diritto internazionale Ali Al Ghatif – avrebbe la proprieta’ dei territori coinvolti, i suoi fondi sarebbero privati, il suo bilancio annuale verrebbe sottoposto solo al capo dello stato, che e’ l’unica autorita” di controllo, ed un rapporto annuale verrebbe presentato al parlamento, che non avrebbe alcuna possibilita’ di esprimersi in proposito. ”Sara’ uno stato nello stato”, valuta Al Ghatif. Quando il Canale fu costruito, qualche giorno dopo la fastosa cerimonia inaugurale del 16 novembre 1869, alla quale intervenne perfino l’imperatrice di Francia Eugenia, Parigi e Londra inviarono al Cairo i propri rappresentanti per farsi pagare i debiti che l’Egitto aveva contratto con loro per i lavori di costruzione.

Il seguito – ricorda il settimanale Ahram Weekly – fu che l’Egitto, non avendo la possibilita” di onorare quei pagamenti, rimase poi per 70 anni sotto occupazione inglese. * Remigio Benni – ANSAmed

 

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